Non sei un vero ciclista romagnolo se non scali almeno una volta il Fumaiolo

Archivio

C’è una cima che nel carniere di un cicloamatore romagnolo che si rispetti non può mancare: quella del monte Fumaiolo. Per conquistarla, si può ricalcare il finale dell’undicesima tappa del Giro d’Italia 2017, vinta dallo spagnolo Oscar Fraile, disegnando un anello con partenza ed arrivo a Bagno di Romagna, interessante dal punto di vista sia tecnico sia paesaggistico. In totale, sono una cinquantina i chilometri da percorrere, tutti in salita e discesa, senza un metro di pianura. Le pendenze, però, eccetto i tre chilometri che da Balze salgono al passo del Fumaiolo, dove si tocca e spesso si supera la doppia cifra, non sono proibitive, ragion per cui, considerato anche il ridotto sviluppo chilometrico, si tratta di un itenerario alla portata di qualsiasi ciclista mediamente allenato.

Itinerario

Itinerario: Bagno di Romagna – Verghereto – Valico di Monte Coronaro – Ville di Montecoronaro – Balze – Monte Fumaiolo – Riofreddo – Alfero – passo Incisa - San Piero in Bagno – Bagno di Romagna. Distanza: 53 km

Salite

Valico di Monte Coronaro da Bagno di Romagna (853 m): lunghezza 12 km; pendenza media 3,5%, massima 6,2%; dislivello 400 m

Valico di Monte Fumaiolo (1347 m) da Balze: lunghezza 3,1 km; pendenza media 8,5%, massima 13,6%; dislivello 262 m

Un giro per Bagno di Romagna

Prima di salire in sella, tuttavia, vale la pena fare un giretto per Bagno. Il piccolo borgo montano che ha mantenuto intatta la propria struttura medioevale e rinascimentale, con edifici di varie epoche al cui interno sono stati ricavati hotel, osterie, enoteche e ristoranti, merita, infatti, una visita. Nel Trecento, Bagno era un castrum circondato da mura lungo cui si stagliavano due torri e si aprivano altrettante porte. Nel corso dell’Ottocento, lunghi tratti di tale cinta muraria furono abbattuti o inglobati in alcuni palazzi; sul lato ovest del paese, lungo le vie del Popolo e Circonvallazione, però, sopravvive una parte di quel perimetro murato, in cui è inserito anche un Torrione, struttura difensiva d’impianto circolare in sasso con copertura a lastre di arenaria. Fiore all’occhiello del paese è l’antichissima Basilica di Santa Maria Assuna (860 d.C.) a navata unica con sette cappelle per parte. L’edificio, che nei secoli ha subito profonde trasformazioni, mantiene ancora all’esterno tracce romaniche mentre nei suoi altari si trovano le opere di alcuni dei principali artisti del Rinascimento fiorentino, compreso un rilievo in terracotta della bottega di Donatello. Percorrendo via Fiorentina, che attraversa il cuore di Bagno, si possono, invece, ammirare bei palazzi dalle chiare linee toscane. Da piazza Ricasoli, la via fa angolo con l’elegante Loggetta Lippi, sovrastata dal palazzo Dei, fino al Seicento parte integrante del monastero camaldolese. Notevoli sono anche il settecentesco Palazzo Salvetti con stemmi gentilizi sugli architravi d’ingresso e un elegante balcone in ferro battuto, Palazzo Malvisi, costruzione sei-settecentesca d’impronta toscana la cui facciata fu rifatta nel 1840, e l’adiacente Palazzo del Capitano, i cui stemmi testimoniano la lunga dominazione fiorentina. La parte opposta della via, al contrario, è tutta occupata dallo stabilimento termale, oggi “Hotel Terme S. Agnese”, che nel corso dei secoli è arrivato a occupare l’intero isolato.

Verso Verghereto

Dopo aver girovagato per Bagno, è ora di mettersi in marcia. Usciti dal paese, si prende la Strada regionale 71 e ci si dirige verso Verghereto, ignorando il bivio (a destra) per il passo dei Mandrioli, che si incontra poco dopo Bagno. La salita alla Sella di Verghereto consta di 9 chilometri piuttosto facili (pendenza media 3,7%): i primi 7 sono in leggerissima ascesa (2,5%), eccetto un chilometro al 5% fra il km 4,5 e 5,5. La pendenza si alza solo negli ultimi 2 km, rimanendo, comunque, più che abbordabile (6%). In questo primo tratto, la strada procede prima in una profonda gola, sovrastata dai viadotti dell’E45, poi si inerpica tortuosa, con una serie di curve e controcurve, lungo le pendici sud del monte Comero, in ambiente desolato e brullo, segnato dai caratteristici calanchi di arenaria grigiastra. Anche il panorama regala ben pochi scorci, mantenendosi chiuso e monotono sino a Verghereto, dove, invece, inizia ad aprirsi sulle cime circostanti. Raggiunto, appunto, Verghereto (812 m), arroccato su uno sperone che domina la valle, si scende per 1,5 chilometri fino a oltrepassare il ponte sul torrente Grosso, quindi, si torna salire per un paio di chilometri verso il valico di monte Coronaro (853 m). Anche in questo caso, escluso un breve strappo al 10% proprio all’inizio dell’ascesa, la pendenza si mantiene sempre accessibile (5-6%), anzi, fra il km 11,2 e 12 si procede addirittura in falsopiano.

Due possibilità di scelta

Una volta guadagnato il valico, ci sono due possibilità. La prima è prendere a sinistra, per il paese di Montecoronaro (865 m) - da cui parte il sentiero che permette di arrivare alle “fonti” del Savio, sul monte Castelvecchio (1126 m) - e salire sino all’innesto con la Strada provinciale 43 (1205 m). Si tratta di una scalata di 5,5 km per nulla banale, scandita da ben sette tornanti, su strada con fondo dissestato e pendenze di tutto rispetto: si viaggia sempre sopra il 5%, spesso persino fra l’8-10%, toccando la punta massima del 14% proprio poco prima di incrociare la provinciale 43. Una volta qui, si svolta a destra e si affrontano 2,3 km altrettanto tosti: il primo ha una pendenza media del 7,4%, mentre il secondo si apre con una rampa di 500 m al 10-11%, quindi, l'inclinazione scende al 6%, e negli ultimi 300 m si procede addirittura in falsopiano. Inizialmente, si attraversano pascoli e tratti alberati, con lo sguardo che può spingersi verso la sottostante valle Tiberina, poi, nel finale, si entra in una fitta abetaia, fino a conquistare il passo. L’opzione classica, invece, percorsa anche dalla tappa dell’edizione 100 del Giro d’Italia, prevede di scendere per un paio di chilometri alla frazione Ville di Montecoronaro e qui girare a sinistra seguendo l’indicazione Balze (Strada provinciale 38). La strada, piuttosto stretta e tortuosa, inizia a risalire pian piano una valletta interna; dopo 2 chilometri, si attraversa uno dei punti più suggestivi dell’intero percorso, tagliando per 500 m una lunga dorsale di marna priva di vegetazione e quasi bianca, tant’è che sembra di essere immersi in un paesaggio lunare. Superato questo tratto, si torna a pedalare con ai lati bassi boschetti di latifoglie che, quando si diradano, regalano begli scorci sulla sottosatnte vallata del Tevere. A sinistra, invece, inizia a intravedersi il macigno su cui poggia il Fumaiolo, ben distinguibile perché più compatto delle friabili marne. Al km 7 si attraversa la piccola frazione di Falera, poi, lasciata a destra la deviazione per Badia Tedalda, si incontrano le prime case di Balze (1030 m).

Balze e poi si sale al Fumaiolo

Il piccolo centro deve il proprio nome alle alte rupi rocciose che lo sovrastano e l’origine a un fatto miracoloso. Secondo la tradizione, infatti, il 17 luglio 1492 la Madonna apparve a due pastorelle, una cieca e l’altra muta, che riacquistarono rispettivamente la vista e la parola. Da allora, ai piedi della scogliera, attorno al masso del prodigio, fu costruito un piccolo oratorio attorno al quale nacquero le prime case e iniziarono poi in breve a confluire gli abitanti dei piccoli e scomodi castelli circostanti. Nonostante la sua natura prevalentemente turistica, Balze racchiude anche opere d’arte, conservate nella severa chiesa  parrocchiale di Santa Maria Assunta, fra cui la statua della “Madonna con Bambino” di Giovanni di Andrea della Robbia. A circa metà dell’abitato, si svolta a sinistra nella Strada provinciale 43 e si comincia a salire verso il monte Fumaiolo. Il passo vero e proprio inizia qui: sono 3,1 km belli tosti, come testimonia l’inclinazione media, pari a un ragguardevole 8,5%. Non a caso, si viaggia sempre oltre il 7% e in diversi punti si supera il 13%. La strada, subito molto stretta e in forte pendenza (8%), dopo poche centinaia di metri costeggia la chiesetta dell’apparizione della Madonna, attorno a cui, secondo la tradizione, si sviluppò il paese, addentrandosi in un basso boschetto di faggi. In 1,6 km, con pendenze un po’ più abbordabili (5-8%) si arriva a un piazzale dove si gira repentinamente a sinistra, oltrepassando il neonato Tevere, e si attacca l’ostico tratto finale (pendenza media 10%), che, in 1,6 km, immersi in una folta abetaia, conduce al valico (1347 m).

Lo strappo più duro

Proprio in corrispondenza del piazzale, si affronta lo strappo più duro, 3-400 metri oltre il 13% poi, fino alla cima, si viaggia sempre attorno all’8%, eccetto un’altra rampa in doppia cifra (km 2,5), a ridosso dello scollinamento. Una volta raggiunta la cima, a quota 1347 m, si percorrono poche centinaia di metri in falsopiano per tuffarsi in discesa verso Bagno di Romagna, 29 km più a valle. Il primo tratto, caratterizzato da ampie curve, conduce in località Sassoni, quindi, si prosegue fino a raggiungere la valle dell’Alferello, attraversando campi punteggiati da rada vegetazione a basso fusto. La strada disegna un lungo percorso ad arco che consente di aggirare il massiccio della Mola, inconfondibile per la nuda scarpata artificiale. A circa 2,3 km dal passo, si incrocia, sulla sinistra, la strada che sale da Montecoronaro, descritta in precedenza; si ignora tale deviazione e si continua pennellando le curve, in mezzo a prati e modesti boschetti, fino a Riofreddo (8 km dal passo), dove ci si congiunge con la provinciale proveniente da Balze. Di antica origine, risalente addirittura al 1372, il paese è immerso nella natura e sorge su uno sperone roccioso che s’alza dalla forra delle sorgenti dell’Alferello.

Alfero e poi il ritorno

Ancora 2 km e si arriva ad Alfero, solcata dalle fresche e limpide acque dell’omonimo torrente. Posta in una conca dominata dai massicci del Comero e del Fumaiolo, la ridente località turistica è incorniciata da secolari castagneti e da boschi di faggi, cerri e abeti. Una delle principali attrazioni è la cascata dell’Alferello, chiamata anche cascata delle trote per l’alta presenza di questa specie ittica lungo il torrente. Raggiungibile a piedi dal centro dell’abitato, ha un aspetto monumentale in virtù dei suoi 32 metri di altezza e della particolare conformazione del territorio. Vicino alla Chiesa di S. Andrea, invece, è ancora visibile il cippo recante da una parte lo stemma a cinque sfere dei Medici  e dall’altra le chiavi di S. Pietro, a testimonianza di come Alfero sorgesse proprio sul confine fra Granducato di Toscana e Sato della Chiesa. Lasciato il paese, inizia un chilometro di facile salita (60 metri di dislivello) per raggiungere il passo dell’Incisa (811 m). A questo punto, le asperità sono finite e una velocissima discesa di 12 km conduce a San Piero in Bagno. Anche in questo segmento, la strada disegna ampie curve, ma solo due veri e propri tornanti, attraversando, in sequenza, Casellina, Acquapartita, col suo bel lago, e Valgianna. Al termine, si giunge nel centro di San Piero, si gira a sinistra e in poco più di 2 km si fa ritorno a Bagno di Romagna, chiudendo l'anello.          

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