Non c’è lavoro e la politica riempie il vuoto della giornata

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I contrasti sorti durante la guerra tra le due anime socialiste, la riformista e la rivoluzionaria, sono abissali. Nel settembre del 1918 il PSI tiene, «in forma quasi clandestina», il suo XV Congresso. Il dibattito che vivacizza l’assise segna il trionfo dei rivoluzionari, che da questo momento assumeranno ufficialmente il nome di massimalisti. L’11 dicembre 1918, a guerra appena conclusa, la direzione del partito lancia l’obiettivo della «Repubblica socialista in Italia» proponendosi di attuare ciò che i comunisti bolscevichi stanno facendo in Russia: la «dittatura del proletariato» attraverso la creazione dei “Soviet”, ovvero di organismi di potere popolare.

Con il miraggio di un possibile “ribaltone”, all’inizio del 1919 si ricompone la Sezione socialista di Riccione. Stimolati da principi di «giustizia proletaria» e sedotti dal nuovo «verbalismo rivoluzionario», diversi borghigiani tornano ad infoltire le fila del “Sol dell’avvenire” e a dare man forte ai vecchi e irriducibili compagni (cfr. Germinal, 13 marzo 1919). Tra i socialisti, che in questo particolare frangente si distinguono per spirito d’iniziativa e attivismo politico, spiccano Cesare e Ugo Villa (costruttori di mobili), Domenico e Guido Galavotti (albergatori), Silvio Mancini (titolare di officina meccanica), Ernesto Del Bianco (commerciante), Secondo Pecci (artigiano), Remo Galavotti (artigiano), Colino Casali (esercente), Vincenzo Galassi (commerciante), Emilio Aldo Saponi (titolare di falegnameria), Alfredo e Giuseppe Copioli (imprenditori edili), Elviro Casali (commerciante), Lucio Amati (albergatore), Achille Rastelli (esercente), Stefano Magnani (marinaio), Clodomiro Donini (commerciante), Lorenzo Colombari (esercente), Luigi Colombari (lattoniere e vetraio), Edmondo Bologna (esercente), Renato Conti (muratore), Secondo Bernabè (commerciante) e il disoccupato Terenzio Scatassi (cfr. Germinal, 1 e 17 maggio 1919).

Superato il breve momento di euforia per la vittoria contro gli Imperi Centrali, l’Italia si ritrova prostrata da una grave recessione economica. Chiudono i battenti molte industrie collegate alla produzione bellica; diminuisce il lavoro e i licenziamenti sono all’ordine del giorno. Chi rientra dal fronte trova solo disoccupazione e miseria. L’inflazione, poi, fa salire alle stelle i prezzi dei generi di prima necessità e toglie il sonno a tanta povera gente. Ad inasprire gli animi di chi sopporta i disagi della crisi c’è anche l’ostentato benessere di quanti hanno tratto vantaggio dalla guerra: i nuovi ricchi, gli speculatori ingordi, i cosiddetti “pescicani”. Dimostrazioni, scioperi e tafferugli con morti e feriti si susseguono con ritmo frenetico e nei cortei la bandiera rossa prende il posto del tricolore. Nel riccionese la crisi del dopoguerra non è così esplosiva come in altre parti del Paese; la condizione socioeconomica della popolazione, tuttavia, è grave. Il carovita, per esempio, si fa sentire: salgono alle stelle i prezzi delle uova, del vino, della carne; il sale è introvabile; lo zucchero scarseggia; il latte è annacquato e il pesce costa «un occhio del capo!». «A buon mercato non vi è che la saraghina!», brontolano i giornali (cfr. Germinal, 21 giugno, 6 luglio e 13 settembre 1919; 24 aprile 1920). Manca il lavoro e la schiera dei disoccupati si ispessisce di giorno in giorno. A riempire il vuoto della giornata non c’è che la politica, e questa, a Riccione, guarda fisso a Sinistra, vale a dire al Partito socialista italiano. E come vanno le cose in questa compagine all’indomani del conflitto europeo ce lo spiega, senza reticenze, Germinal, periodico della «Federazione collegiale socialista di Rimini». «Col ritorno dei compagni dalle armi e dalle officine di guerra», scrive il giornale nella sua prima uscita pubblica il 13 marzo 1919 – che da questo momento ci fornirà una miriade di “corrispondenze” sul movimento operaio riccionese –, la vecchia Sezione socialista di Riccione, che durante i quattro anni di conflitto europeo «si era distinta per una certa rissosità interna», è stata sciolta e se ne è ricostituita una nuova che ha ripreso con lena l’attività organizzativa e propagandistica. Le “animate” discussioni, a cui fa riferimento il foglio socialista, si riferiscono alle diatribe sorte in seguito alla presa di posizione interventista di alcuni riccionesi capitanati da Felice Pullè, proseguite e accentuate durante il periodo bellico a causa della linea “poco patriottica” assunta dalla dirigenza del partito. Controversie, queste, che facevano il verso a quelle nazionali tra le due correnti politiche, la massimalista e la riformista, ma che recitate nel “teatrino” riccionese sollevavano molte perplessità. Tanto che Germinal, fedele interprete della linea ufficiale del partito socialista, il 13 marzo 1919 riassumendole le liquidava frettolosamente con la frase: «non sapendo cosa fare durante la guerra i compagni riccionesi avevano trovato il modo di passare il tempo bisticciandosi tra loro».

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