Noelia Ricci e la sua casa alla Tenuta Pandolfa. Il nuovo Sangiovese

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“Tenuta Pandolfa, casa di Noelia Ricci”. La storia torna a sintesi. Quel nome misterioso e accattivante così romagnolo nella sua apparente esoticità, al quale per qualche anno in tanti hanno cercato di dare un volto di vignaiola, in poco tempo è diventato un marchio della migliore enologia romagnola, e alla fine si è svelato. Noelia Ricci è stata la padrona di casa della sontuosa Tenuta Pandolfa, che già produceva ed etichettava vino in quel di Fiumana a Predappio, dagli anni Sessanta. Noelia Ricci era la nonna di Marco Cirese che nel 2011 ha preso in mano vigna e cantina mantenuta in famiglia, insieme alla sontuosa villa Settecentesca, dalla propria madre, figlia di Noelia.

Diventare vignaiolo

«All’inizio ero spaventato dall’imponenza della tenuta: 140 ettari di cui 90 a vigneto, di cui ho espiantato subito una parte importante, ma i quaranta ettari di vigna che restavano erano comunque tanti da gestire», ammette Marco Cirese. Accantonata una carriera avviata in altro campo (nel 2010 si trovava a Bruxelles al lavoro nella sede della Commissione europea), oggi fa la spola fra Roma e Romagna, fra vigna e cantina. Certo sulle colline di Predappio Marco sapeva come muoversi: a casa della nonna Noelia aveva trascorso tutte le sue estati di bambino e ragazzo e con lui giocavano allora Paride Bombardi e Fabio Gimelli, oggi rispettivamente uomo di vigna e di cantina al suo fianco. Così Marco è entrato, in punta di piedi, ma con un disegno preciso: scommettere sul Sangiovese «e farne un vino che uscisse dai confini della Romagna». È il 2013, quando con la consulenza dell’agronomo Francesco Bordini (resterà fino al 2019) nascono i vini Noelia Ricci con due etichette: il Sangiovese d’annata, la ormai famosa vespa, e il cru, Godenza, dalla vigna più alta cinta dai boschi piantati dal bisnonno Giuseppe Ricci che acquistò terra e casa dai marchesi Albicini nel 1941. Solo dopo è arrivato il Brò, l’unico bianco, il trebbiano dedicato al fratello. «Volevo creare qualcosa di nuovo e di mio partendo da zero e soprattutto recuperando alla sua identità il Sangiovese, lasciandomi alle spalle i decenni in cui la Romagna aveva troppo spesso scimmiottato la Toscana. La scimmia sull’etichetta del Godenza un po’ significa questo: ritorno alle origini. Al contempo però andava avanti la produzione della Pandolfa e mi sono reso conto che comunque non potevo lasciarla indietro, quindi mi sono occupato del rebrand, con le etichette dei Malatesta stilizzati, e siamo intervenuti sui vini». Ora che le due linee hanno un’ identità distinta e riconoscibile, in bottiglia la differenza la traccia la linea dei calanchi, anche la storia si riunisce.

Le etichette

Dietro le accattivanti etichette ci sono vini altrettanto stimolanti che non a caso stanno mietendo successi, nelle guide, come fra i consumatori. Il Sangiovese Godenza 2019, la cui prima annata risale al 2013, ha conquistato anche quest’anno i 3 bicchieri del Gambero Rosso. «Dal 2020 punterò ancora di più sulla “crudità”, allungo la macerazione ma affino tutto in cemento per otto mesi e un anno in bottiglia», spiega Marco Cirese, ormai sicuro nelle scelte di cantina dove lo accompagna Paolo Salvi. Mantiene il taglio fresco d’annata il Sangiovese base, vespa in etichetta, con fermentazioni spontanee di tre particelle vinificate separatamente e poi riassemblate. Un vino sempre di beva agile e piacevolissimo nel frutto e nel tannino di giusto peso. «La mia è stata una sfida famigliare – dice Marco Cirese–, adesso con i miei colleghi vogliamo farla diventare una sfida collettiva e portare il Sangiovese sempre più lontano».

Anche il Trebbiano in evidenza. Sangiovese sì, è in effetti la bacca che segna la viticoltura predappiese nelle sue diverse altitudini ed espressioni, ma non solo. Noelia Ricci ha conquistato anche la guida Slow Wine che, forse con un briciolo di spregiudicatezza in più, in terra di rossi ha premiato un bianco, il Brò. Un segnale, nella direzione di una rinnovata attenzione per il vitigno Trebbiano, che in effetti a diverse “latitudini” romagnole sta emergendo in versioni sempre più convincenti ed espressive, a loro volta, dei diversi territori.

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