No-vax e assembramenti? C'erano anche ai tempi del vaiolo

Pandemie di ieri e di oggi con incredibili punti di contatto, dalle diffidenze contro le vaccinazioni alle apprensioni per gli assembramenti. Un secolo e mezzo fa il vaiolo divenne un incubo a Savignano e da una corrispondenza inedita ritrovata di recente durante il riordino dell’archivio parrocchiale di Santa Maria, a Castelvecchio è spuntata una storia sorprendente: il potere laico chiese allora aiuto a quello religioso per convincere i no-vax dell’epoca.

Il vaiolo a Savignano

È stato il ricercatore locale Emanuele De Carli ad accorgersi dello scambio di lettere a proposito del virus del vaiolo che imperversava avvenuto tra l’amministrazione comunale e i parroci di Savignano dell’epoca. «Rileggendo le lettere inedite tra il sindaco di Savignano e il parroco di Castelvecchio - riferisce - emerge la stessa preoccupazione che sta vivendo oggi la nostra comunità a causa del coronavirus».

L’epidemia nella Savignano dell’Ottocento fu però molto più grave. Il vaiolo arrivò ad uccidere circa il 30% dei malati, con strascichi sanitari nei contaminati, a partire dalle cicatrici sulla pelle e in alcuni casi anche cecità.

No-vax da convincere

«Le lettere scovate iniziano dal 1864 - prosegue De Carli - quando il sindaco Sebastiano Galli scrisse a don Pasquale Pazzaglia parroco di Castelvecchio per sensibilizzare i cittadini alla vaccinazione. Scriveva il 19 maggio 1864: “Domenica alle ore 9 si svolge in municipio la generale inoculazione del vaiolo. Si prega l’onorevole parroco di annunciare dall’altare questa notizia, perché sia meglio diffusa e pubblicata”. Fu sempre Galli, sindaco di Savignano fino al 1870, a chiedere collaborazione a don Pazzaglia tre anni dopo la prima lettera». Scrisse il 10 maggio 1867: “Giovedì 16 alle 9, previo suono della pubblica campana di questo comune, si procederà con professori sanitari all’inoculazione del vaiolo”».

La richiesta dell’amministrazione era di annunciare le vaccinazioni dall’altare durante la messa, avvertendo che chi non si fosse sottoposto al trattamento sanitario sarebbe andato incontro a mali con conseguenze nefaste.

Passarono altri dieci anni e l’emergenza sanitaria si ripropose. A denunciare il pericolo fu un avviso pubblico del dottor Giacomo Giorgetti, diventato sindaco che scrisse nel dicembre 1877: «Vari casi di vaiolo si sono verificati nel corso di breve tempo, inducendo la commissione sanitaria a proporre la vaccinazione generale. Amo credere che tutti vorranno sottoporsi, anche i bambini. Essendo un morbo temibile per le deformità che lascia in quelli che ne sono colpiti».

I distanziamenti

Sul vaiolo - prosegue De Carli - scrisse anche il sindaco di Savignano, Francesco Vendemini, in una lettera del 13 febbraio 1881, quando un cittadino contagiato si ritrovò a fare assembramenti nella casa di un amico. Si rivolse così al parroco di Castelvecchio: «Nella zona di Rio Salto si sono sviluppati due casi di vaiolo, il primo nella famiglia di Luigi Trebbi detto Gagliazza, l’altro in quella del colono Luigi Polverelli detto Bardinone. Sembra infatti che quest’ultimo abbia avuto origine dal fatto che il Polverelli frequentava la casa del Trebbi. Ad evitare la propagazione del vaiolo, è necessario l’isolamento delle famiglie infette, e a tale intento per la famiglia del Trebbi ho provveduto con l’ausilio di guardie».

L’arrivo della pellagra

De Carli conclude: «Quando la malattia sembrava circoscritta, i savignanesi, a causa della povertà e della cattiva alimentazione, svilupparono la pellagra. E ancora una volta il sindaco, alla fine di ottobre del 1881, spedì al parroco di Castelvecchio un opuscolo su questa malattia, chiedendo a don Pazzaglia di leggerlo in chiesa e istruire i fedeli».

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