Niente più argilla ucraina al porto, ceramica faentina a rischio

«Prima la pandemia, poi il caro energia, ora questa maledetta guerra: è la tempesta perfetta». La preoccupazione nelle parole di Davide Servadei, presidente di Confartigianato Emilia-Romagna e titolare della storica Bottega Gatti di Faenza, è palese. Il settore della ceramica, che tra Faentino e Imolese trova un polo di rilievo nazionale, vive un momento di profonda crisi e la situazione internazionale contribuisce a delineare un quadro drammatico. A risentirne sarà soprattutto il comparto industriale, rappresentato sul territorio da aziende leader, ma anche per le botteghe – solo nella città di Faenza sono oltre 60 – l’orizzonte si annuncia cupo: a fare la differenza sono i numeri, immensi per l’industria, più gestibili per l’artigianato. «Con un quintale di argilla – spiega Servadei – posso fare mille bomboniere o una scultura di due metri, i costi variano a seconda dei formati. Nel caso di pezzature ridotte, l’incidenza si assesta su percentuali non ancora insostenibili». Gli artigiani delle botteghe si stanno però già scontrando come tutti con i rincari energetici, e per loro si aggiunge la grana di smalti e colori: anche i prezzi di questi ultimi sono schizzati in alto, a causa della crisi delle cosiddette “terre rare”, sostanzialmente monopolizzate dalla Cina. «Il contesto generale – conclude Servadei – va a rallentare pesantemente la strada della ripartenza che le imprese artigiane stavano provando a imboccare».

Ma è sul terreno del rifornimento di argille che si rischia di assistere a un collasso delle industrie ceramiche, stritolate fra i prezzi esorbitanti del gas e la carenza di materie prime, sempre più pressante anche per via della guerra in Ucraina. Un allarme concreto, visto che in alcune aziende si è già iniziato a spegnere i forni. Gran parte dell’argilla che viene impiegata nella nostra industria arriva infatti dall’Ucraina, e più precisamente dal porto di Mariupol, diretta verso quello di Ravenna. Oggi, però, Mariupol è sotto l’assedio delle truppe di Putin: «Il loro porto è chiuso, le navi sono cariche a metà ma non possono più essere riempite né partire – riferisce Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica, anche lui faentino –. Nel porto di Ravenna abbiamo scorte per circa 30-40 giorni». E poi? Nessuno lo sa con precisione: «La ricaduta sarà pesante per tutto il mondo della ceramica – aggiunge –. Questa situazione non è risolvibile dall’oggi al domani ricorrendo alle argille tedesche. Se il flusso non passa da Ravenna c’è il rischio di un cortocircuito. Senza considerare che la qualità delle argille ucraine è nettamente superiore». Al momento si sta guardando anche ad altri possibili fornitori in diversi punti del continente: un’opzione sarebbe la Sardegna, ma ci sono anche il Portogallo e la Turchia. Il problema, tuttavia, è articolato come non mai: «Ci abbiamo messo mesi per farci ascoltare sull’energia da opinione pubblica e politica e ora, invece di 20 centesimi a metro cubo, il gas ne costa 200 – sottolinea Savorani –. La produzione di grandi lastre è messa in enorme difficoltà. Le misure del Governo per il nostro settore valgono circa 80/90 milioni di euro, ma significa che la percentuale di mitigazione del problema è solo del 12%». Una crisi che, secondo Savorani, arriva da lontano e in cui hanno giocato un ruolo decisivo le politiche energetiche del passato. E le soluzioni ipotizzate non tranquillizzano: «Ora si parla di interrompere la decarbonizzazione – chiosa Savorani –. Insomma, adesso la Co2 va bene? L’etica è finita sotto la scala della cantina, e intanto si rischiano posti di lavoro».


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