«A Cesena si può cominciare a fare qualcosa di bello che duri nel tempo»

Cesena

CESENA

Davide Veglia ha passato due giorni in Romagna scegliendo come base il Grand Hotel Da Vinci a Cesenatico. L’impressione che regala a prima vista è quella di una persona che sa ammantare il dinamismo frenetico tipico dell’imprenditore con una certa serenità d’animo, miscelando parole sempre pacate e misurate. Nel 1995 ha fondato Abts Service, che rappresenta il riassunto del suo sogno americano di un ex ragazzo ligure che ha fatto fortuna. Ha scoperto un’esigenza, una lacuna da colmare, lui l’ha colmata inventandosi una società, la Abts, che nel 2017 ha fatturato 50 milioni di dollari.

«Organizziamo congressi medici in tutto il mondo per 26 associazioni americane e 35.000 medici, curando il coordinamento, l’organizzazione e i servizi connessi». In sintesi: al congresso si deve pensare solo ai temi da affrontare, a tutto il resto, dall’aereo, al taxi, dalla logistica fino al trasporto bagagli, pensa tutto l’Abts, di cui il 48enne Veglia è Ceo e padrone unico di un’azienda con tre sedi a Miami, Belgrado e Cleveland.

Al suo fianco al Da Vinci c’è Joao Moraes, ex giocatore brasiliano e fondatore nel 1996 della Brazilian Soccer Training Center di Miami, società di settore giovanile in promettentissima espansione. Dal 2014, Veglia è diventato suo socio, ha inaugurato il centro di futsal più grande della Florida e ora è in corso una trattativa per l’ingresso di un potenziale terzo socio: Emerson, il “puma”, ex Roma e Juve.

Veglia, come ha scoperto Cesena?

«Grazie a un amico cesenate, ovvero Gianni Rovereti. Ci ha conquistato con la sua app e il suo programma di analisi delle prestazioni dei giocatori. Per noi è uno strumento prezioso per monitorare la crescita dei nostri ragazzi. Usiamo i droni in allenamento dal 2014 e il programma di Gianni è stato un grande salto di qualità per noi».

Quante squadre avete alla Brazilian Soccer?

«Sette formazioni con giocatori dai 6 ai 14 anni, poi scatta il passaggio alla high school. In tutto abbiamo 200 ragazzi e anche 50 ragazze: il calcio femminile è in grande fermento negli Usa».

Quanto costa giocare a calcio a Miami?

«Abbiamo due quote diverse: 380 dollari a trimestre in un programma di due allenamenti più la partita. Il programma competitivo, con tre allenamenti e la partita, costa invece 1.800 dollari all’anno».

Da fine luglio, lei ha iniziato ad allacciare contatti con il Cesena. Perché proprio Cesena?

«Perché ho scoperto una terra ideale per fare calcio e per avviare una collaborazione con la Brazilian Soccer. Su consiglio di Rovereti, siamo venuti in Romagna con una nostra squadra nel 2014 al Torneo dell’Adriatico a Martorano, è stata un’esperienza bellissima: l’accoglienza è stata fantastica e gli occhi felici che avevano in quei giorni miei piccoli giocatori non li scorderò più».

Ma perché interessarsi a una società di serie D? Non è meglio guardare alla serie A o alla B italiana?

«Guardo al Cesena in D perché Cesena ora è a un punto di inizio, ci sono le opportunità ideali per cominciare a fare qualcosa di bello e che duri nel tempo».

Lei qualche anno fa allacciò rapporti col Genoa per creare una Academy negli Stati Uniti: come mai non ha funzionato?

«Perché io volevo avviare un interscambio di esperienze, di idee, di giocatori, di tornei in Usa e in Italia. Era la stagione 2016-2017: dopo avere siglato l’accordo, dal Genoa non arrivarono effettivi segnali di volere fare qualcosa di concreto, così ho preferito chiuderla subito lì».

Da imprenditore, il calcio è un affare?

«No, il calcio è una spesa».

E allora perché investire nel calcio?

«Perché qui si va oltre il denaro: si parla di sport, di valori, di educazione. Io lavoro nei settori giovanili e se a un bambino dici una cosa, il bambino la fa. Di più: se io voglio limitare un genitore maleducato, dico al bambino di rimproverare il genitore e il bambino migliora il padre. Una società migliore parte dai bambini e io so che il Cesena è una cosa bella: i miei ragazzi erano motivatissimi quando hanno viaggiato dagli Usa alla Romagna per un torneo di calcio. Un ragazzo che viaggia cresce e migliora: vorrei questo tipo di interscambio con il Cesena».

Commento del classico osservatore sospettoso: ma perché investire proprio qui?

«Perché in Romagna avete il potere ricettivo più importante d’Italia, perché si possono fare belle cose, perché ci sono persone di spessore come Davide Biondini (che ha incontrato ieri, ndr), che in futuro potrebbe avere un ruolo importante, perché ci sono soddisfazioni che vanno al di là del fattore economico».

Per esempio?

«Si riparte dalla serie D e si può creare quello che negli Usa si chiama una legacy, un percorso di risalita che inizia dalla D e magari arriva alla A, si può lasciare un bel ricordo».

Per essere soci del Cesena bisogna versare 10.000 euro di capitale e poi impegnarsi a versare 25.000 euro all’anno per 3 anni.

«Intanto ribadiamo una cosa: io arrivo in punta di piedi e vorrei portare le mie conoscenze e avviare un interscambio che possa fare il bene di tutti. Certo, mi piacerebbe entrare come socio con un investimento iniziale, ma vorrei fare di più. Io credo nei settori giovanili: vorrei ampliare gli orizzonti della mia Bstc e di conseguenza anche del Cesena. Molti nostri ragazzi a Miami hanno lo status di comunitari e si potrebbero creare rapporti proficui per tutti».

Lei in prospettiva sarebbe disposto a rilevare per intero il Cesena Fc?

«No, sarebbe un impegno troppo importante e io al momento sono troppo coinvolto nelle mie attività. Vorrei essere una parte attiva di un progetto, quello sì».

Il calcio italiano vive un’estate mai così tribolata a livello economico. Da imprenditore, secondo lei perché sta succedendo tutto questo?

«Perché il calcio non è trattato come un’azienda. Torno a quello che vorrei dare al Cesena: guardate che in fondo è facile staccare un assegno, a me invece piacerebbe vedere quale è l’obiettivo, dove è il traguardo. Negli Stati Uniti si dice: “Se nei primi 5 anni non fallisci, non fallisci più”. I soldi in fondo sono una cosa semplice, l’importante è che ci sia un progetto, una visione, il sogno di dove si vuole arrivare».

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