«Allenare il Cesena è un sogno ma non pensiamo di aver già vinto»

CESENA. Giuseppe Angelini, quale aggettivo userebbe per descrivere la sua estate?

«Sono sincero: devo ancora rendermi conto di quello che è successo. All’inizio di giugno, quando il mio nome era stato avvicinato per la prima volta al Romagna Centro, qualcuno mi aveva sconsigliato di andare: direi che ho fatto bene a non ascoltarlo».

Il 13 giugno ha firmato con il Romagna Centro, poco più di un mese dopo è diventato l’allenatore del nuovo Cesena.

«Con questo nuovo progetto non era mica scontato che i nuovi dirigenti confermassero Angelini. E invece mi hanno chiamato e affidato subito l’incarico, dimostrando grandissima fiducia nei miei confronti. Ora sono in debito e devo assolutamente ripagarli con l’unica cosa che so fare: lavorare sul campo».

Lei a Cesena ha fatto il giocatore, l’allenatore delle giovanili e il vice allenatore in prima squadra. Le mancava solo l’ultimo gradino.

«Allenare il Cesena è il sogno di qualsiasi tecnico. Da giocatore non mi rendevo conto di cosa fosse il Cesena. Me ne sono reso conto quando ho cominciato ad allenare i giovani: lì percepisci l’entusiasmo, la fame, la voglia, la passione. Tutte le volte che sono andato via da Cesena, ho sempre rimpianto l’ambiente».

Lei è tifoso del Cesena: sarà una difficoltà o uno stimolo in più?

«Sono sicuro che riuscirò a gestire le emozioni, altrimenti dovrei cambiare mestiere. L’unica cosa che cambia è che adesso, quando andrò al bar o al ristorante, parlerò un po’ meno del Cesena. Ma sul campo non mi snaturerò, perché altrimenti non sarei più Giuseppe Angelini, cioè l’allenatore che la società ha scelto».

Visto che lei se ne intende, essendoci riuscito a Bellaria e Santarcangelo, come si vince un campionato di serie D?

«Normalmente direi con una società seria, con un allenatore lucido e con giocatori forti. A Cesena, però, devo aggiungere un’altra componente fondamentale: i tifosi. Passando al campo, in D c’è meno fisicità e meno tecnica, ma l’aspetto tattico è fondamentale. Quindi troveremo squadre organizzatissime e che cureranno i minimi dettagli, a maggior ragione contro di noi».

Quale sarà l’errore da non commettere?

«Quando ero a Padova, parlavano ancora di Nereo Rocco e mettevano in campo le figurine. Ma specialmente in D non scende in campo la tradizione. Se pensiamo di aver già vinto perchè siamo il Cesena e giochiamo al Manuzzi, abbiamo sbagliato tutto».

Come si spiegano, a un ragazzo di 18 anni, il peso ma anche il prestigio di questa maglia?

«Basta dirgli: “Prima eri in tribuna a tifare per quelli che giocavano, ora in campo ci sei tu e quelli che erano vicino a te sono diventati i tuoi tifosi”. Ai 12-13 ragazzi che ho allenato finora, ho detto che è come se fossero entrati al casinò: se mettete giù la monetina ed escono le tre faccine, vi cambia la vita. Perchè vincere a Cesena ti cambia la vita».

Dopo 9 anni ritrova De Feudis.

«Lo abbiamo scelto perché a Cesena è un vincente. Poi ha sposato subito la nostra causa, ha rinunciato ai soldi, si è messo a disposizione. Poi c’è il calciatore, che l’anno scorso ha vinto un campionato, perchè la salvezza ad Arezzo è stata un’impresa. Ma De Feudis non vince da solo».

Rispetto alle avversarie, il Cesena è partito in ritardo. Quale sarà la difficoltà più grande?

«Questa è l’incognita. Chiedo pazienza, soprattutto nelle prime settimane, poi sarà fondamentale avere qualche calciatore in grado di risolvere le partite con una giocata».

La sua filosofia da allenatore cambierà?

«Faremo la partita e giocheremo per vincere, anche se affronteremo sempre blocchi di cemento armato. Perciò dovremo avere pazienza anche in campo. Guai aspettarsi di essere sempre 3-0 al 20’: si può vincere anche 1-0 al 95’».

Ha già pensato a quando entrerà per la prima volta al Manuzzi da allenatore del Cesena?

«No, anche perchè non sono uno che va sotto la curva a saltare. Però so come mi piacerebbe uscire dal Manuzzi».

Come?

«Da vincitore. E in quel caso, beh, sì, probabilmente salterei».

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