«Agli uomini possiamo insegnare la costanza, la grinta e la passione»

Lugo

Marinella Piolanti com’è iniziata la sua passione per il calcio?

«Da piccola giocavo a calcio con mio fratello Giuseppe nel cortile di casa: quando mancava qualcuno per completare la squadra mi aggregavo io. Ho sempre giocato solo con i maschi, non sapevo neanche che esistessero squadre di calcio femminili, finché, a 13 anni, mi chiamarono nella squadra femminile di Lugo».

Come hanno reagito i suoi genitori di fronte alla sua volontà di giocare a calcio?

«La mia è una famiglia numerosa, ho tre fratelli. Babbo Giulio non ha mai fatto problemi, accettando con serenità questa mia scelta, a differenza di mamma Antonietta. Non ne voleva proprio sapere e ha sempre cercato di dissuadermi dal fare calcio».

Oggi il calcio femminile è uno sport sdoganato rispetto ai suoi tempi, percepisce questo cambio di mentalità?

«Vedo ancora genitori che lasciano fare questo sport alle figlie pur non nascondendo qualche perplessità. Sicuramente passi in avanti sono stati fatti: oggi a molte squadre professionistiche maschili corrisponde una formazione femminile. Purtroppo in Italia non è ancora contemplato il professionismo per le calciatrici, con tutte le conseguenze del caso a livello di tutela per la salute, infortuni e previdenza, e abbiamo anche un tetto piuttosto limitato per i salari».

Il suo ricordo più bello da giocatrice?

«Ho tanti bei ricordi: la vittoria della Coppa Italia con il Lugo, i 5 campionati al Milan in cui abbiamo sempre lottato per vincere il titolo, e la prima indimenticabile convocazione in nazionale».

Com’è avvenuto il passag-gio da giocatrice ad allenatri-ce?

«Mi è sempre piaciuta l’idea di allenare, ho preso il patentino di allenatrice mentre ancora giocavo. Quando, tre anni fa, la presidenza del San Zaccaria mi propose di prendere in mano la squadra, colsi al volo l’occasione: ero alla fine della mia carriera, è stata una sorta di passaggio obbligato».

E’ difficile gestire un gruppo di ragazze?

«Sono fortunata, gestisco un gruppo molto affiatato. In generale però capita di avere difficoltà a gestire le giovani più talentuose. Chi è brava non ascolta i consigli e pensa di essere già arrivata. Ai miei tempi c’era più rispetto dell’allenatrice. Oggi i giovani sono dei “sapientoni”, credono di avere la verità in tasca e non hanno l’umiltà di imparare».

Quali sono le sue ambizioni a livello di allenatrice?

«Allenando la Primavera mi piacerebbe arrivare alle fasi nazionali. In un futuro il mio sogno sarebbe allenare una squadra femminile di serie A».

Ha un modello di riferimento?

«No, dei miei colleghi mi piace osservare il metodo e la tecnica di allenamento».

Segue altri sport?

«Mi piacciono tutti gli sport, guardo sempre in televisione il tennis, il basket, la pallavolo e soprattutto la squadra del mio cuore: la Juventus».

Perché consiglierebbe a una ragazza di fare questo sport?

«Penso che tutti gli sport all’aperto abbiano una marcia in più. Il calcio ti mette in competizione con te stesso e con gli altri. Ti aiuta a crescere come individuo e come persona all’interno di un gruppo».

Cosa potrebbe insegnare il calcio femminile a quello maschile e viceversa?

«Il calcio maschile dal mondo femminile dovrebbe copiare la costanza, la grinta e la passione. Le ragazze non hanno gli ingaggi e gli stipendi dei calciatori uomini, a volte solo un rimborso spese, ma ci mettono tutta la loro professionalità e non saltano un allenamento. Le donne viceversa, dovrebbero imparare dal mondo maschile a farsi scivolare addosso quello che succede dentro al campo. Noi siamo più permalose, facciamo caos nello spogliatoio solo per una parola sbagliata e ci leghiamo le cose al dito».

Due anni fa all’ex presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Felice Belloli, fu imputata la frase “Basta soldi a queste quattro lesbiche”, cosa ha provato di fronte a quest’uscita infelice?

«E’ stata un’esternazione che non gli ha fatto una bella pubblicità. Non solo ha denigrato il calcio femminile ma anche le donne che fanno sport in generale. Sono luoghi comuni che oggi non dovrebbero neanche esistere».

Per lei gli italiani sono pronti a vedere una donna su una panchina di Serie A?

«Ora no. In Europa sono più avanti di noi sotto quest’aspetto, rispetto all’estero siamo molto indietro. Tra dieci anni? Sarebbe un miracolo».

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