«Retrocedere rispettando le regole è un'ingiustizia che brucia ancora»

Forlì

Massimo Gadda, le è passata la delusione per la retrocessione del Forlì?

«No. Il tempo in parte sta aiutando, ma me ne serve di più. Il grosso non è passato, è stata una amarezza fortissima».

Facciamo finta che al Consiglio Federale dello scorso 4 agosto, il presidente Tavecchio le avesse concesso cinque minuti per un intervento sulla Lega Pro. Lei cosa avrebbe detto?

«Avrei detto che in Lega Pro certe situazioni vanno affrontate. Quando ci sono casi gravissimi, bisogna intervenire subito, tutelando chi rispetta le regole. Le crisi di certe società erano sotto gli occhi di tutti, società che a gennaio hanno fatto mercato senza pagare i tesserati, società che alla fine si sono salvate e noi no. Situazioni come quelle di Mantova, Maceratese e Ancona sono state paradossali, anche se è doveroso fare delle distinzioni».

Di che tipo?

«Si sono salvate belle squadre che erano espressione di società che hanno fatto disastri economici. Io faccio i complimenti a giocatori e tecnici di Mantova e soprattutto della Maceratese, perché sono stati splendidi a salvarsi sul campo in mezzo al caos delle loro società. Ma non è giusto che chi non rispetta le regole non debba pagare a campionato in corso. Forlì e Lumezzane hanno avuto la coerenza di rispettare il budget e gli impegni con i loro dipendenti, ma sono state bocciate dal campo. Altre come Modena e Mantova avevano mille problematiche, eppure a gennaio si sono rinforzate con giocatori di spessore».

Nella scorsa stagione ha condiviso la politica societaria del Forlì o si poteva fare di più?

«Io ho sposato in pieno la scelta della mia dirigenza: è stata una scelta coerente e onesta. Sapevamo di avere poche risorse e non si può spendere più di quello che hai: il calcio va fatto così. Avevamo il budget più basso in mezzo a un girone super di Lega Pro, eppure stavamo per farcela, in un’annata che dal punto di vista economico si è chiusa in pareggio».

Al mercato di gennaio non si poteva fare meglio? L’arrivo di Succi alla resa dei conti non vi ha dato nulla, anzi.

«Allora, premetto che non è giusto responsabilizzare di più questo o quello, perché sul campo siamo retrocessi e la colpa è di tutti, dall’allenatore al presidente al magazziniere. Però...».

Però?

«Però il nostro era un gruppo che a gennaio non aveva bisogno di innesti di quel tipo. E lo dico senza nessuna prevenzione per Succi, che non conoscevo di persona, quindi non avevo e non ho nulla contro di lui nemmeno oggi. Ma se costruisci una squadra con una serie di giovani e un certo tipo di esperti, una squadra figlia di un budget e di una precisa identità di gruppo, allora non puoi prendere un nome come Succi. E avrei detto lo stesso se fosse arrivato un altro giocatore di quel tipo, tipo Sansovini o Calaiò. Una volta scelta la via, bisognava restare coerenti fino in fondo».

Partivate come una predestinata alla retrocessione, invece a un certo punto stavate per farcela.

«Siamo partiti malissimo: 5 punti nelle prime 13 partite, sembravamo già spacciati in partenza. Invece un passo alla volta ci siamo risollevati, in un girone di qualità altissima. Dopo il pareggio di Parma eravamo virtualmente salvi senza passare dai play-out e sarebbe stata un’impresa clamorosa, memorabile. Poi purtroppo ci siamo un po’ persi e ripeto: la colpa è di tutti».

Ai play-out si poteva fare di più?

«All’andata col Fano potevamo vincere 3-1, invece abbiamo pareggiato 1-1, mentre sul ritorno c’è poco da dire, abbiamo sbagliato partita. È stata un’amarezza profondissima, come mi hanno fatto male certe parole che ho sentito dopo la finale di ritorno, quando c’è stato chi ha voluto sparlare un po’ troppo ed è stato un peccato».

A cosa si riferisce?

«Io un anno fa al presidente avevo detto: “Va bene impegnarsi per ottenere il ripescaggio, ma in una Lega Pro del genere bisogna tenere anche conto dell’eventualità di retrocedere e poi ripartire dalla serie D con un blocco consolidato di giocatori”. Invece la nostra retrocessione non è stata gestita bene da qualcuno».

In luglio ha tifato per il ripescaggio del Forlì?

«Certo, sarebbe stato giusto. Società come Forlì e Lumezzane non hanno barato, altre sì. E ribadisco che lo dico facendo un grosso applauso ai giocatori che si sono salvati sul campo. Però poi si arriva a fine agosto e vedi che Maceratese e Ancona non ci sono più e il Mantova ripartirà dalla D. È giusto tutto questo?».

È difficile fare calcio a Forlì?

«È una città con potenzialità importanti e buoni impianti, ma senza una vera storia di calcio che abbia trascinato la piazza. Nell’andata dei play-out, in Forlì-Fano c’erano 1.300 persone, di cui 600 da Fano. Per i play-out di basket, a vedere l’Unieuro erano in 4.000. Per fare un paragone, a Ravenna sette-otto anni di serie B hanno creato una tradizione e nelle gare decisive vedi 3-4.000 persone allo stadio. È un tipo di tradizione che Forlì ancora non si è costruita».

Cosa augura al Forlì per la prossima stagione?

«Oberdan (Melini, ndr) e Attilio (Bardi, ndr) hanno costruito una buona squadra. Però non voglio fare l’ipocrita e dire cose che non penso. L’ultimo risultato del campo io devo accettarlo perché sono un uomo di sport, ma il finale mi ha amareggiato parecchio».

Quindi il suo augurio quale è?

«Auguro a ragazzi in gamba come Croci, Rrapaj, Baldassarri e Ricci Frabattista di fare grandi cose, così come spero che i ragazzi della Berretti inseriti in prima squadra possano fare bene, perché se lo meritano. Ecco, se questi giovani facessero una bella stagione, mi farebbe davvero piacere».

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