Ultima chiamata per il Cesena

Cesena

CESENA. Per mesi quella di oggi è stata definita la madre di tutte le partite, poi gli ultimi risultati l’hanno declassata. Poi c’è la matematica, l’imponderabile del calcio che ribalta ogni sentenza affrettata. Però fino alla palla al centro di questa sera, è il realismo che domina: c’è una squadra che ha vinto 4 partite su 32, aggrappata al suo carattere e a un campionato mai così misero nella bassa classifica. Di conseguenza, oggi non si decide la salvezza, ma giusto la speranza. E allora, benvenuti a Cesena-Atalanta: la suocera di tutte le partite.

Strategie. Quando il tuo principale partner di mercato estivo diventa il tuo rivale principale in classifica, è un primo segnale che nella strategia di costruzione della squadra qualcosa non ha funzionato. Nessuno si immaginava l’Atalanta a lottare per la salvezza e oggi nessuno metterà in dubbio la professionalità dei giocatori. Il Cesena non è penultimo perché il gruppo non dà tutto quello che ha, anzi: è penultimo perché in fondo il suo valore è questo. Il penetrante asse di mercato avviato con la Dea è stato solo uno degli inciampi in una stagione in cui la Romagna bianconera aveva pochi carichi da giocarsi per costruire la rosa e quei pochi se li è giocati male.

L’andata. Il verdetto è pronto per essere scritto, poi se questa sera inizia la rivoluzione e da qui a fine maggio succede un miracolo, allora Cesena-Atalanta diventerà per acclamazione la partita simbolo del campionato.
Per il momento, la partita-simbolo resta quella dell’andata, ovvero Atalanta-Cesena 3-2: l’ultima di Pierpaolo Bisoli in panchina, quella con De Feudis e Djuric titolari e Carbonero e Almeida in panchina. In quel 7 dicembre, all’intervallo era praticamente esonerato Colantuono, poi è andata a finire che è stato esonerato Bisoli, sconfitto in una partita strana come tutte quelle in cui c’è un gol in mezza rovesciata di Benalouane, una partita satura di un rapporto ormai troppo teso con Foschi e gran parte della dirigenza.

Fatturato. Un girone dopo, mentre Almeida è evaporato altrove e Carbonero si è scongelato dopo Pasqua, i numeri dicono che il divario dalla quartultima è aumentato. La classifica dopo la 14ª giornata e quell’Atalanta-Cesena 3-2 recitava: Chievo e Torino 13, Cagliari 11, Cesena 8, Parma 5. La testa bianconera è sempre rimasta sott’acqua, poi è innegabile che la squadra abbia viaggiato più propositiva e serena, emanazione di rapporti più sereni attorno a lei. Restando sui numeri, se Di Carlo vince oggi, fa 18 punti in un suo personalissimo girone. È una media da salvezza? A 36 punti (18x2) si resta in A? Difficile dirlo ora, con l’Atalanta a 31 punti con sei partite da giocare.
Paure e cazzotti. Mentre al Milan sono tutti curiosi di scoprire mister Bee, i subentrati Di Carlo e Reja sanno bene che oggi è una serata chiave per non scoprirsi mister B. Una serata con due squadre nel pieno di un campionato polemico e sofferto, visto che entrambe hanno vinto solo una volta nelle ultime 11 gare (Cesena-Udinese 1-0, Atalanta-Sassuolo 2-1). L’ultimo atto di una stagione tribolata è arrivato dopo il cazzotto di Denis a Tonelli al termine di Atalanta-Empoli, con 5 giornate di stop per il Tanque.
Andando indietro con la memoria per casi simili, si scopre che negli anni le pene si sono annacquate. Nel maggio 2012, una serie di cazzotti ad Adem Liajic costarono tre mesi di squalifica a Delio Rossi. Nel giugno 2004, Fabrizio Castori fu condannato in primo grado a tre anni di squalifica per il pugno a Strada in Lumezzane-Cesena, stessa pena per Massimiliano Ferrigno dopo l’aggressione a Francesco Bertolotti dopo Como-Modena in C1 nel 2000. I casi sono due: o dieci anni fa ci si picchiava più forte, oppure col tempo la giustizia sportiva ha scelto il guanto di velluto per attutire i colpi.

 

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