Dc pronta a chiedere le dimissioni del presidente

Rimini

SAN MARINO. Il rinvio a giudizio per riciclaggio del presidente della Dc turba il clima di “festa” attorno all’uscita della black list: il partitone sarebbe pronto a chiedergli le dimissioni, la maggioranza non si incrina, ma resta in tensione. Garantisti i Noi sammarinesi che lasciano alla Dc ogni decisione sul ruolo di Leo Marino Poggiali, duri Ap e i Socialdemocratici: da noi, dicono, sarebbe già sospeso.

Intanto, il neo presidente del partitone si difende: l’indagine riguarda fatti che «non hanno nessuna attinenza col mio incarico politico nella Dc»; «né dolo né malafede», dice, e sulle papabili dimissioni dal ruolo di punta, è cauto: «Incontrerò la dirigenza per una decisione condivisa».

L’avviso di garanzia, dieci giorni fa. La difesa di Poggiali, affidata a Gian Nicola Berti, ha chiarito come il presidente democristiano sia stato sentito il 31 gennaio come persona informata sui fatti. A quella convocazione, però, ne è seguita un’altra. Il presidente (che è stato rinviato a giudizio assieme ad altri tre per riciclaggio perché accusato di aver aiutato a nascondere 2 milioni e 300mila euro sottratti da una curatela fallimentare e destinati in realtà all’Inps) è stato convocato come teste dal tribunale di San Marino il 31 gennaio scorso: l’inchiesta era aperta dal 2010, su segnalazione della banca per la quale Poggiali lavorava, l’Eurocommercial bank, e poi dell’Aif. Nel corso dell’audizione, la posizione del presidente Dc è cambiata, tanto che l’esame del teste è stato interrotto e Poggiali è stato iscritto nel registro degli indagati. La comunicazione giudiziaria (ossia, l’avviso di garanzia) gli è stata notificata il 7 febbraio ed è stato quindi interrogato. Al 13 febbraio risale il rinvio a giudizio.

«Sono sereno». Poggiali ha ricostruito di fronte al magistrato Alberto Buriani l’intera vicenda e avrebbe ammesso di aver svolto l’adeguata verifica senza il titolare del conto davanti, ma solo per fare un favore a un buon cliente della banca, un avvocato romano. Si tratta infatti di Francesco Scardaccione, che a San Marino stava cercando di ripulire i milioni sottratti, facendoli transitare dal conto corrente intestato al prestanome Benito Martellacchi prima di farli confluire su altri due conti, uno intestato a se stesso e uno a una società di diritto inglese. Assieme a Poggiali sono infatti rinviati a giudizio lo stesso Scardaccione assieme al prestanome Martellacchi e all’amministratrice della società inglese. «I fatti oggetto di indagine risalgono al 2010 – scrive Poggiali in una nota -, riguardano la mia attività professionale e non hanno nessuna attinenza con l’incarico politico che rivesto all’interno del partito, di cui sono stato nominato presidente lo scorso 9 gennaio e a quella data non avevo notizia di nulla. Sono molto sereno anche in coscienza perché certo di non aver mai compiuto in tutta la mia vita alcun atto, alcuna pratica con dolo o malafede». E, sulle dimissioni, «incontrerò la dirigenza del partito per un confronto aperto e una decisione condivisa sul mio mandato».

La maggioranza tesa. Gli alleati dei democristiani non chiedono ufficialmente le dimissioni di Poggiali, ma se le aspettano. Più garantisti i Noi sammarinesi: «Sono questioni interne al partito – dice Maria Luisa Berti, coordinatrice del movimento -. Lo conosco di persona e penso che sia perbene, credo avrà la possibilità di chiarire la sua estraneità». Più duri i Socialdemocratici: «Il Psd – spiazza il segretario Marina Lazzarini - ha un codice etico: un politico rinviato a giudizio viene sospeso da ogni incarico fino alla sentenza. La Dc, a casa sua, faccia ciò che vuole». «Quanto accaduto è grave, specie visto il momento delicato – affonda Mario Venturini di Alleanza popolare -, qui non si tratta di un soggeto indagato ma rinviato a giudizio. Se accadesse in Ap, lo sospenderemmo. La Dc? Mi aspetto che agisca nel modo migliore».

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