Prostituta "costretta" a pagare le tasse

Rimini

RIMINI. Le casse dello Stato piangono l’Agenzia delle entrate, specie di questi tempi, non va troppo per il sottile. Un funzionario dell’ufficio riminese nel controllare la differenza tra la dichiarazione dei redditi, praticamente pari a zero, di una signora e l’ammontare dei versamenti bancari ha deciso di chiederle il conto.

La donna è stata invitata in ufficio per spiegare i versamenti bancari per oltre ventimila euro, durante l’anno fiscale 2011, a fronte della presunta assenza di entrate.

Detta così potrebbe sembrare una storia come tante, ma è probabile che chi ha promosso l’accertamento sia già informato sul mestiere svolto dalla lavoratrice autonoma in questione. Si tratta infatti di una prostituta storica, di origine straniera ma che a Rimini ha messo radici da un pezzo.

Ad altre sue colleghe, infatti, è già capitato di recente di essere state pescate in quella terra di mezzo nella quale la prostituzione viene considerata un’attività non illecita, sebbene ci si guardi bene dal regolamentarla. La cittadina, prima di presentarsi all’appuntamento con il Fisco con il portafogli in mano, si è rivolta all’avvocato Marco Lunedei. Il legale le ha suggerito, intanto, di spiegare sinceramente come ha fatto a guadagnare quei soldi, poi si vedrà. Intendiamoci, all’Agenzia delle entrate già sanno l’origine dei profitti della signora: è monitorando gli annunci che, ogni tanto, colpiscono, per adesso a macchia di leopardo, nell’ambiente. Sono però piuttosto sicuri del fatto loro sulla possibilità di contestare il mancato gettito fiscale dell’evasione della lucciola. Una giurisprudenza consolidata dà atto infatti che anche le prostitute debbano pagare le tasse, indipendente da ogni altra valutazione. A imporlo sarebbe infatti la norma generale, valida per tutti i cittadini, che obbliga chiunque a dichiarare i propri redditi e di dichiararli allo Stato.

Già in passato, su segnalazione dall’Unità d’informativa finanziaria della Banca d’Italia, la guardia di finanza di Rimini si era occupata di un’attempata lucciola riminese, ufficialmente senza reddito, ma dai cospicui conti in banca. L’inchiesta le costò la rinuncia alla pensione sociale dell’Inps e la restituzione delle prime rate.

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