Eva Mikula: «Vittima della Uno bianca»

Rimini

 

RIMINI. L’ultima volta i parenti delle vittime della Uno bianca l’hanno incrociata un anno e mezzo fa in tribunale a Rimini ed Eva Mikula, chiamata a testimoniare, sfoggiava un’acconciatura platino in stile Marilyn e lo stesso sorriso da rotocalco dei vecchi processi nei quali la donna fu sempre assolta. Non l’hanno degnata di un saluto. Eppure la donna, ex compagna di Fabio Savi, torna - a dieci anni dall’ultimo tentativo - a cercare un dialogo con la presidente Rossana Zecchi. Prende carta e penna per confutare quanti continuano a ritenerla «colpevole moralmente» e sono «indignati di ogni tentativo di avvicinamento». Ricorda a tutti, come aveva fatto anche in aula a Rimini l’ultima volta, che Fabio e i suoi fratelli non la trattavano proprio come una principessa. «Picchiata e segregata» quando ancora era solo una «bambina, clandestina, minacciata e terrorizzata a morte». Fa presente come le sue testimonianze furono decisive per incastrare la banda. «Luciano Baglioni e Pietro Costanza (i poliziotti riminesi che risolsero il caso ndr) vi possono confermare».

«Ho subito sette processi in vari gradi di giudizio», scrive Mikula nella lettera, «assolta con formula piena. Sono stata costretta a fare comparse televisive per pagarmi gli avvocati, per difendermi». «Ho lottato da sola - aggiunge - contro tutti, avevo solo Dio, i miei 19 anni e la coscienza pulita come guida verso una giustizia che poi è arrivata. Non ho mai cercato riconoscimenti e ringraziamenti da nessuno, ho messo da parte le polemiche lasciando sfogo al vostro insindacabile dolore. Mi consolava la soddisfazione e tristezza che mi avvolgeva ogni volta che seguivo la Vostra commemorazione. Avrei voluto essere presente, in ultima fila ma esserci». Perché l’esigenza di una “riabilitazione”? lo spiega lei stessa in un passaggio successivo quando si dice stufa di sentirsi discriminata e dipinta come un’«icona nella cronaca nera». «Sono incensurata, senza carichi pendenti e conduco una vita normale, modesta e onesta nonché madre di due bambini. Ad oggi - continua - alcune persone nel mio ambito lavorativo, dopo aver letto le notizie in evidenza sul web, spinti da un forte pregiudizio, mi hanno insultata e diffamata in pubblico ritenendomi una persona coinvolta nei crimini, pregiudicata e colpevole nel frequentare ambienti malavitosi. Mio malgrado, ho dovuto esporre querela... non è un caso isolato».

Mikula sostiene di essere rimasta per venti anni nell’ombra e in balia dei media, «ma sempre a sostegno della verità e vicina al Vostro pensiero e dolore. I Savi scontano l’ergastolo come confermato anche di recente, in gran parte grazie a me, per la mia tempestiva, assidua e preziosa collaborazione. Diversamente, sarei morta prima di vedere le manette ai polsi di Fabio Savi». Infine, la richiesta esplicita. «Con il Vostro permesso e comprensione, gradirei che mi permetteste di far parte della Associazione vittime Uno Bianca oppure, vi prego, almeno di accettate la mia presenza silenziosa e sentita alle commemorazioni del 13 ottobre in quanto vittima sopravvissuta di una feroce, assurda e indimenticabile storia». La risposta della presidente Rosanna Zecchi non si è fatta attendere: «E’ una richiesta che non sta in piedi. Non so su quale base possa fare una richiesta simile».

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