A Rimini terrorista nella lista nera Usa

Rimini

 

RIMINI. C’è un “riminese” nella lista di sessanta persone pericolose che avrebbero un indirizzo italiano tra i presunti “terroristi globali”, pubblicata su internet nei giorni scorsi dal Dipartimento del tesoro degli Stati Uniti, allo scopo di interrompere eventuali flussi di denaro.

Seppure esile il filo che lega la città al “programma di attentati” dei fondamentalisti islamici provoca preoccupazione. Nel mirino degli Usa c’è un tunisino di 39 anni, coinvolto undici anni fa in un’indagine sulle cellule terroristiche operanti nel nostro Paese: alla fine venne assolto, ma evidentemente sull’uomo continua a gravare un’ombra e c’è chi ipotizza che, al pari di altre persone finite sulla lista nera, possa addirittura aver raggiunto i luoghi dove si combatte. Si tratta di un magrebino che anni fa ha abitato per un breve periodo in una palazzina di vicolo San Giovanni, a Rimini. Nell’ottobre 2002 venne arrestato per via di alcune conversazioni intercettate: secondo i carabinieri del Ros era legato a una cellula di Al Qaeda che progettava di colpire probabilmente in Francia o in Italia (un giornale di Tel Aviv ipotizzò che l’obiettivo era invece la nazionale di calcio di Israele). Processato a Milano il tunisino fu assolto dall’accusa più grave di terrorismo internazionale (condannato per la falsificazione di documenti preparati in una stamperia di Napoli) ed è tornato libero dopo un periodo di detenzione cautelare. L’assoluzione però non escluse - anzi - i contatti degli imputati con l’area del fondamentalismo islamico. Mancarono le prove che gli accusati intendessero davvero compiere attentati come aveva invece ipotizzato il pm Massimo Meroni durante la sua durissima requisitoria. La pubblica accusa parlò «di personaggi molto pericolosi che progettavano attentati». Una telefonata di “particolare gravità” era quella tra il tunisino e uno sconosciuto.

Il “riminese” nella conversazione, ormai datata, fa riferimento a “un programma” di cui avevano già parlato in precedenza e che attiene a qualcosa che “rinforza la fede”. L’interlocutore si rivolge a lui chiamandolo “sceicco”. E il tunisino lo rassicura: “Coordinerò per poter andare assieme... anche io sto andando”. Infine una citazione: “Combattere è la cosa giusta e noi abbiamo iniziato la cosa giusta”. Sempre lui ricorre poi, secondo quanto scritto nella vecchia ordinanza del gip milanese Maurizio Grigo, “ad una metafora calcistica” - la stessa che compare in intercettazioni alla vigilia dell’attentato alle Torri Gemelle - e fa “continue allusioni alla preparazione di una partita”. “Tutto è pronto per la partita”, “il campo è pronto”, “vinceremo la partita”. Gli investigatori riminesi, non coinvolti nell’inchiesta, non riuscirono a ricostruire la presenza a Rimini dell’individuo. Eppure era stato lui stesso a dichiarare di essere domiciliato in vicolo San Giovanni, una traversa di via XX Settembre in occasione del rinnovo di un documento necessario per l’ottenimento del permesso di soggiorno. Nel corso del processo negò tutto, ma per gli Usa l’assoluzione non cancella i sospetti.

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