Brusca: «Volevamo riempire la spiaggia di Rimini di siringhe infette»

Rimini

RIMINI. «La mafia puntava a un cambio di strategia, colpire non più le istituzioni ma realizzare dei veri e propri atti di terrorismo contro il patrimonio dello Stato. Così stavamo pensando di depositare delle siringhe infettate dall’Aids lungo le spiagge di Rimini o disseminare i supermercati di merendine avvelenate o persino a un attentato alla torre di Pisa».

Lo ha detto ieri a Milano, durante il processo per la strage di via Palestro, Giovanni Brusca, negli anni ’90 reggente del mandamento di San Giuseppe Jato. Brusca è l’uomo che ha premuto il telecomando dell’attentato di Capaci (il 23 maggio del 1992) in cui morirono il giudice Giovanni Falcone e la sua scorta, e che poi è divenuto collaboratore di giustizia.

L’obiettivo durante la trattativa fra Stato e Mafia, - ha spiegato Brusca in aula - era quello di ottenere i benefici richiesti nel cosiddetto papello dei boss: fermare l’articolo 41 bis e il carcere duro per i detenuti di mafia nei penitenziari di Pianosa e dell’Asinara. Volevamo creare allarmismo in modo che lo Stato alleggerisse la permanenza in galera».

Un concetto che in verità Brusca aveva già espresso nell’aula bunker di Firenze nel ’98 parlando delle autobombe mafiose del ’93. In particolare l’autobomba di 250 chili di tritolo in via dei Georgofili a Firenze che uccise cinque persone e sfregiò i tesori degli Uffizi. «Volevamo piazzare brioscine avvelenate nei supermercati, e spargere siringhe con il sangue infetto dall’ Aids sulla spiaggia di Rimini per mettere in ginocchio il turismo in Italia, ma senza far danni. Ci furono riunioni e il progetto delle siringhe era a buon punto, tanto che stavamo già cercando di procurarci il sangue. L’idea era di nascondere le siringhe sotto la sabbia e avvisare subito la polizia in modo da farle ritrovare. Non volevamo vittime, doveva essere solo un avvertimento. Stessa cosa per l’altro piano, quello delle brioscine».

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