Scomparsi da due mesi: trovati morti

Rimini

MISANO ADRIATICO. Alzando leggermente la tapparella dall’esterno il carabiniere, papà di una ragazzina preoccupata per la prolungata assenza dell’amica, ha sollevato il velo sull’orrore di una tragedia familiare che si è consumata, nell’indifferenza generale, almeno cinquanta giorni prima, attorno al 20 novembre. Dentro la villetta di via Vanzetti, davanti alla chiesa di Villaggio Argentina, erano tutti morti: un’intera famiglia. Madre e figlia, abbracciate sul letto. Il compagno della donna, sul corridoio con le vene squarciate.

Pietosamente avvolto in una coperta, anche il cadavere del cagnolino da compagnia, uno yorkshire. “Omicidio-suicidio” è la certezza, l’ipotesi più credibile, a giudizio degli investigatori, è che sia stato l’uomo a uccidere la donna e la figlia quindicenne, gli accertamenti medici diranno come, per poi suicidarsi. Per quanto approfondita potrà rivelarsi l’inchiesta dei carabinieri di Riccione e Misano, coordinata dal pm Luca Bertuzzi, non si arriverà neppure a sfiorare l’insondabilità del mistero della mente umana. I vicini già definiscono il presunto omicida “affettuoso”, la coppia “tranquilla” e l’adolescente “come tutte le ragazzine della sua età”. Gli album su Facebook ne rappresentano la conferma, solo una persona tra i novecento e passa “amici” della donna, da un Paese lontano, aveva lanciato un appello agli altri utenti, solo due giorni fa, dopo quasi due mesi di silenzio.

La macabra scoperta risale alle 18.30 di ieri. L’imbeccata della figlia del carabiniere si è incrociata con le perplessità della proprietaria dell’abitazione. I vicini pensavano che la famiglia fosse partita per il Sudamerica e avesse prolungato le vacanze. L’occhiata del militare ha dato corpo ai peggiori sospetti: ha intravisto un corpo mummificato. I vigili del fuoco hanno sfondato la porta (era chiusa dall’interno). In casa giacevano i corpi senza vita di Alvaro Cerda Cedeno, 35 anni, ecuadoriano, aiuto-cuoco (aveva lavorato come operaio a San Marino); di Adriana Stadie, 44 anni, nata a Buenos Aires (Argentina), ma cittadina italiana, una talentuosa pasticciera specializzata nella creazioni di torte decorate e di sua figlia Sophie Stadie, 15 anni, studentessa dell’istituto per Geometri “Belluzzi” di Rimini. Cadaveri in avanzato stato di decomposizione. L’uomo era steso sul pavimento nel corridoio, scalzo. In slip e maglietta. Ai polsi i segni evidenti di chi si è reciso le vene, attorno a sé il sangue rappreso.

Mamma e figlia erano distese sul letto matrimoniale, abbracciate. Vestite, indossavano abiti comodi e calzavano le scarpe. La donna supina, la figlia di lei a pancia in giù, con un braccio a cingerle il collo. Il medico-legale intervenuto sul posto non ha potuto chiarire per adesso le cause della morte. Non ci sono segni evidenti di violenza, neppure quelli caratteristici dello strangolamento. C’è solo un po’ di sangue sulla donna. Fin quando non si avrà l’esito dell’autopsia, disposta dal pm Bertuzzi, non si potrà dire niente di preciso. Sono state avvelenate? Narcotizzate e poi assassinate nel sonno? Oppure ricomposte in un abbraccio dopo il duplice omicidio. I carabinieri (il reparto scientifico del nucleo investigativo si è occupato dei rilievi) giudicano improbabile qualsiasi scenario alternativo. Il cane era ai piedi del letto. Il disordine nell’abitazione, qualche oggetto fuori posto e altri dettagli colti dagli investigatori più esperti suggeriscono la possibilità di una lite. Qualcuno, adesso ricorda che Adriana aveva parlato della possibilità di tornarsene nella terra d’ori gine dove vive la sorella ed era ritornato anche il padre. Ma è soprattutto un particolare inquietante ad aprire uno squarcio su una realtà familiare più complicata di quanto appaia, ancora oggi, sulle bacheche di Facebook.

Dei tre non si hanno più notizie dal 20 novembre (nella cassetta della posta i militare hanno pescato le lettere delle scuola di Sophie). Dieci giorni prima che l’intera famiglia “scomparisse” nel nulla, senza che quasi nessuno se accorgesse, Adriana era finita in ospedale. Una brutta caduta in bagno si era giustificata al pronto soccorso. Tre costole fratturate una clavicola fuori posto, trauma cranico. «Sono scivolata e ho battuto la testa sul bidet».

Un mese prima era toccato a Sophie finire al pronto soccorso per una “caduta” accidentale. Era cambiato qualcosa in Alvaro, descritto come un uomo innamorato e premuroso, che al fianco di Adriana aveva fatto da padre negli ultimi anni a Sophie. Si dice che l’uomo abbia perso il lavoro da operaio e che si sia messo a lavorare in cucina come aiuto cuoco. Ad avere il talento, affinato attraverso specializzazioni conseguite accanto a chef affermati in varie parti del mondo, era però lei. Un dono. L’arte di creare di dolci speciali. Un mondo avvolto in una nube di zucchero: l’ultimo suo segno di vita è il post di una ricetta con la base di pan di spagna. L’orrore che stava per travolgere lei e sua figlia non sembrava sfiorarla.

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