Mannina-Nusdorfi, doppio omicidio per tre

Rimini

RIMINI. Le indagini sul duplice omicidio di Lidia Nusdorfi e Silvio Mannina sono concluse. Ai tre indagati per la morte della 35enne avvenuta a Mozzate in provincia di Como e del suo ex fidanzato 30enne milanese, ucciso a Rimini, è stato notificato l’avviso di conclusione indagine da parte del sostituto procuratore Stefano Celli. Duplice omicidio in concorso è l’accusa più grave che lega Dritan Demiraj, la compagna riccionese Monica Sanchi (in carcere costretta su una sedia a rotelle per una grave malattia) e Sadik Dine, zio di Demiraj al quale con l’avviso di conclusioni indagini viene contestato anche il concorso nell’omicidio di Lidia Nusdorfi, uccisa materialmente dal reo confesso nipote al quale lo zio avrebbe fornito l’auto che ha condotto la coppia, in compagnia di un minorenne albanese, a Mozzate per commettere l’assassinio.

Il primo ad essere ucciso infatti, il 28 febbraio dello scorso anno, secondo la ricostruzione dell’accusa, fu Mannina, ex fidanzato della Nusdorfi a sua volta ex compagna di Demiraj, 30enne pasticcere albanese, dal quale aveva avuto un figlio. Proprio per allontanarsi da lui la donna si era trasferita a casa di parenti in Lombardia dove, attraverso un appuntamento telefonico datole da Mannina sotto la minaccia di morte, Demiraj l’ha raggiunta. Un appuntamento datole dall’ex fidanzato poco prima di morire: era infatti già nelle mani del pasticcere. La 35enne è stata uccisa alla stazione di Mozzate dove era scesa proprio pensando di incontrare l’ex fidanzato. Ad attenderla invece le 11 coltellate infertele dal padre di suo figlio, giunto in auto (quella dello zio) insieme alla sua attuale compagna anche lei accusata di duplice omicidio.

Un duplice omicidio totalmente premeditato, sostiene l’accusa che ha ricostruito l’ultimo giorno di vita di Mannina. Attirato con l’inganno a Rimini da Monica Sanchi, che attraverso contatti su un sociale network, gli aveva promesso un incontro sessuale, l’uomo era stato condotto a casa del pasticcere albanese, ammanettato, e dopo avergli avvolto un nastro adesivo sulla bocca, con un cavo per antenna televisiva passato attorno al collo, era stato strangolato. Secondo la ricostruzione dell’accusa due dei tre uomini presenti (Demiraj, lo zio e il minorenne) tiravano il cavo attorno al collo mentre un terzo gli teneva ferme le gambe. Una morte lenta e crudele, durata almeno dieci minuti, causata dal soffocamento e dalla rottura dei vasi sanguigni del collo.

Il corpo di Mannina era stato poi avvolto prima in sacchi di plastica e poi in un lenzuolo per poi essere sepolto in una buca, scavata materialmente sempre dai tre uomini, scoperta circa un mese dopo nella ex cava Incal System a Santarcangelo su indicazioni dello stesso Demiraj.

Il 1 marzo Demiraj, la Sanchi e il 17enne erano a Mozzate, alla stazione, dove Lidia Nusdorfi era scesa dal treno convinta di incontrare Mannina. Usando il suo cellulare infatti Monica Sanchi, tramite “whatsapp” aveva finto di essere l’ex fidanzato della 35enne per darle appuntamento.

Un duplice omicidio, il primo compiuto per far ricadere su di Mannina la colpa del secondo omicidio, quello di Lidia, premeditato, secondo l’accusa, dalla coppia punto per punto, perfino nei dettagli. Ma con la complicità decisiva dello zio, pronto ad adoperarsi nei giorni successivi a cancellare le tracce di sangue dal materasso e a fornire l’auto per il viaggio omicida in Lombardia.

Demiraj e lo zio Dine sono difesi dall’avvocato Massimiliano Orrù; Monica Sanchi dall’avvocato Nicola De Curtis.

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