Peculato e atti falsi, commercialista arrestata

Rimini

RIMINI. Con una doppia ipotesi di reato di peculato e per una serie di falsi è stata arrestata una nota commercialista riminese. Il giudice delle indagini preliminari ha disposto per la professionista, Roberta Melucci, 50 anni, i domiciliari nella propria abitazione. A chiedere la misura era stato il pm Davide Ercolani nell'ambito di un'indagine dei carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della procura della Repubblica guidata dal luogotenente Luigi Prunella, denominata “Operazione Virus” (il pm Ercolani è lo stesso che ha indagato su due casi analoghi riguardanti consulenti del Tribunale).

Secondo l’accusa l’indagata si sarebbe intascata senza alcuna autorizzazione dei giudici 110 mila euro di un fallimento decretato nel 1997 e “chiuso” ben sedici anni dopo, e 231mila euro di un secondo fallimento chiuso diciassette anni dopo con un danno per lo Stato di altri 731mila euro, frutto dei risarcimenti dei creditori in base alla legge Pinto, sulla giustizia “lumaca”. Ma a crearle più grattacapi, sono i falsi che le vengono contestati, in quei casi la potenziale prescrizione non è più efficace perchè il presunto reato è stato “riattualizzato” nel tempo, attraverso il deposito in anni più recenti della “contabilità” dei fallimenti.

Alla professionista, che si è rivolta all’avvocato Cesare Brancaleoni perché la difenda, si contesta di aver attinto da un libretto al portatore somme - senza alcuna autorizzazione da parte del tribunale - e da un conto corrente dov’erano stati depositati i soldi “salvati” dal fallimento e che, prevede la legge, dopo il pagamento di tutti i debiti dovevano essere ridistribuiti tra i creditori. La commercialista, in un caso aveva avuto le mani libere per 17 anni. Era infatti il 1997 quando il tribunale la nominò curatrice del fallimento. Da quel dì per almeno tre volte, altrettanti giudici, le chiesero di consegnare la documentazione indispensabile per capire in un primo tempo le azioni intraprese e poi per poter chiudere definitivamente la vicenda. E lei, secondo l’accusa, avrebbe sempre fornito la massima disponibilità, ma soltanto a parole. In un caso denunciò anche il furto della documentazione alla vigilia della consegna, circostanza al vaglio degli investigatori. Alla fine fu proprio uno dei giudici fallimentari a segnalare la situazione alla procura. Non sono emerse contraffazioni riguardo ai prelievi. Nel corso di un interrogatorio la professionista avrebbe difeso il suo operato senza però fornire convincenti spiegazioni riguardo agli ammanchi.

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