«Voglio un taglio del mio vitalizio da vent'anni»

Rimini

 

RIMINI. Ci prova da 20 anni ma quel vitalizio da oltre 5mila euro non glielo tagliano. L’ex Dc Foschi non si capacita: «Ho scritto anche al presidente del Senato». La risposta «Apprezzo la sensibilità ma non è possibile». I soldi sono addirittura aumentati e lui: «Non mi resta che la beneficenza».

L’ex senatore della Dc Armando Foschi, in carica a Roma dal 1979 al 1994, è uno dei precursori, documenti alla mano, tra i politici che hanno provato a ridurre gli importanti assegni di pensione in arrivo tutti i mesi ai parlamentari. Una delle prime uscite pubbliche risale al 26 aprile al 1991, quando era esplosa la polemica in merito a un provvedimento che avrebbe aumentato i vitalizi di circa un milione e mezzo di lire. Lui, ancora in carica, si era esposto: «Condivido pienamente il blocco degli aumenti ai parlamentari - si tratta di un ulteriore colpo alla credibilità della classe politica». Ma si era mosso anche nel concreto, in quell’occasione, «ristrutturando e rapportando la retribuzione, in parte significativa, alle reali presenze in Parlamento».

Foschi, allora come in seguito, veste i panni di Don Chisciotte e la sua battaglia contro il Palazzo si trasforma in una contro i mulini a vento. Però non demorde, continua invano a portare avanti lo “scontro”. Anche quando quel vitalizio inizia ad arrivargli a casa. Ci si potrebbe chiedere perché si incaponisce. La risposta la dà lui stesso: «Sono consapevole del trattamento di privilegio accordatomi ma vivo in uno stato d’animo di disagio in mezzo all’acuto dramma sociale».

Torna quindi alla carica: l’ultima volta nel 2012 quando arriva il cambio per il calcolo dei vitalizi che subiscono sì una riduzione ma solo per chi già non ne usufruisce. Una beffa. Foschi resta con lo stesso importo che allora era poco sotto i 5mila euro e il 27 ottobre dello stesso anno, con una lettera al presidente del Senato Renato Schifani, chiede «un taglio di almeno il 20 per cento». Nella motivazione precisa: «Sono convinto che sia doveroso uno scatto di generosità collettiva verso il Paese». Tutto risolto? Macché. Dal Senato la risposta perentoria, anche per sedare eventuali emuli, arriva poco dopo, il 7 dicembre: «Caro Onorevole, desidero comunicarLe che, pur meritando essa massimo apprezzamento per la sensibilità dimostrata, non è possibile allo stato adottare ulteriori interventi sulla misura e sulle modalità di erogazione degli assegni vitalizi». In sostanza, viene detto al “ribelle” Foschi: «La misura dell’assegno vitalizio resta fissata per tutti gli aventi diritto all’importo maturato anteriormente al 21 dicembre 2011».

Ancora una volta il senatore riminese non riesce a portare a casa il risultato che si è prefisso oltre 20 anni prima. Una battaglia che subisce con il passare del tempo anche ulteriori beffe: gli adeguamenti dell’importo previsti per legge, l’ultimo lo scorso giugno, quando da 4.880 è arrivato a 5.233 euro netti. Già perché ai 6.013 euro che tra le voci della pensione è definito come “primo netto” sono da scalare alcuni importi come la ritenuta assistenziale sanitaria per lui da oltre 400 euro ma anche quella per il coniuge (100) o ancora: la quota da dare all’associazione parlamentari (15). Alla fine gli arriva in casa un assegno anche più basso rispetto a tanti altri colleghi riminesi ma comunque sostanzioso. E lui lo sa: «Non mi resta che la beneficenza perché lo Stato, indietro, i miei soldi non li vuole». E se lo dice lui, che da 20 anni conduce una battaglia contro i paradossi della politica, c’è da crederci.

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