Lolli vende barche in Libia con un socio riminese

Rimini

RIMINI. Quattro anni fa Giulio Lolli, a bordo di un Bertram “soffiato” non all’ultimo degli sprovveduti ma a un uomo d’affari smaliziato come Flavio Carboni, s’imbarcò verso le coste del nordafrica lasciandosi alle spalle oltre all’inchiesta giudiziaria appena avviata, anche una bancarotta milionaria, una cinquantina di panfili ciascuno venduto a due o tre armatori diversi e immatricolati in distinti registri navali nonché i suoi collaboratori in un mare di guai, compreso un ex generale della guardia di finanza morto suicida per salvare l’onore. Nel frattempo, dopo aver conosciuto le catene delle prigioni di Gheddafi e attraversato indenne anche la sanguinosa rivoluzione libica, ex patron di Rimini Yacht si è riciclato laggiù, dopo aver riallacciato regolari contatti con la famiglia e gli avvocati, facendo dapprima l’arredatore e poi avviando un’ attività legata alla vendita e manutenzione di barche. Il bello è che per rimettersi nel giro della nautica avrebbe additrittura trovato un socio riminese. Dichiarato da tempo latitante e con un mandato di cattura internazionale sulla testa, Lolli non può lasciare la Libia, ma ha giurato pubblicamente che non “finirà mai più in carcere”. Una prospettiva che invece il pm Davide Ercolani continua a perseguire con determinazione, assieme agli investigatori dei carabinieri di via Destra del porto. La procura di Rimini nei giorni scorsi, dopo aver raccolto e indicizzato milioni di dati, pagine e documenti confluiti in poco meno di duecento faldoni, ha infatti notificato a tutti i coinvolti, una ventina a vario titolo, l’avviso di conclusione della maxi indagine, preludio alla richiesta di rinvio a giudizio. L’inchiesta, per limitare i rischi della prescrizione, è stata trasformata in uno spezzatino: al fascicolo madre se ne sono aggiunti altri nove relativi a reati fine o satellite (singole truffe e rispettivi prestanome). Lolli, all’epoca dei fatti il principale commerciante italiano di barche di lusso a motore, viene indicato come il promotore, capo e regista di un’associazione per delinquere finalizzata al falso, alla truffa, al furto e all’appropriazione indebita relativamente alla vendita, mediante leasing, degli yacht. Vengono individuate 35 parti offese, tra cui qualche facoltoso imprenditore, anche se per la maggior parte si tratta di società di leasing sammarinesi. Il ruolo di alcune finanziarie è un aspetto che gli investigatori avrebbero voluto chiarire con il principale indagato, ma Lolli dalla Libia si è sempre limitato a respingere le accuse, lasciando solo intendere che non fossero loro le vittime dei suoi affari. Di certo è che tra gli indagati attuali ci sono soprattutto soggetti che si erano inizialmente dichiarati “truffati”: è emerso invece che erano dei prestanome e ricevevano compensi in denaro, consapevoli delle doppie intestazioni.

Secondo l’accusa a far parte dell’associazione erano in particolare due suoi stretti collaboratori, il sammarinese Stefano Fabbri di 48 anni (difeso dall’avvocato Maurizio Valloni) e la 34enne segretaria Karolina Katarzyna Musial (difesa dagli avvocati Aldo Pancini e Paolo Dominici). Il sodalizio si sarebbe avvalso anche delle prestazioni dell’ex generale della finanza, già sindaco revisore di Rimini Yacht (morto suicida nel giorno della perquisizione) e della figlia di un tipografo, addetta alla redazione materiale della falsa certificazione. Nei confronti della donna, però, sono cadute tutte le accuse: sarebbe stata obbligata da Lolli, con violenze e minacce, e quindi la sua condotta non è punibile. L’ex patron di Rimini yacht, difeso dall’avvocato Antonio Petroncini (e dall’avvocato Marco Angelini per una parte dei fascicoli satellite), dovrà invece rispondere anche del reato di estorsione. Il grande bluff di Lolli emerse infatti nel maggio 2010, quando una donna si presentò alla caserma dei carabinieri di via Destra del porto, per denunciare il furto del suo yacht, da sei milioni di euro, misteriosamente scomparso alla darsena di Rimini. Da quel punto la vita di Lolli diventa un romanzo: fugge in Tunisia, protetto dal cognato del presidente, ma è tempo di primavere arabe e dopo un doppio aresto viene espulso e intercettato nel gennaio 2011 a Tripoli. Le manette scattano in un hotel di lusso, ma anche la Libia ribolle e Lolli, detenuto in carcere politico, se la vede brutta. Torna libero dopo otto mesi solo grazie alla rivolta e si unisce ai miliziani, impugnando addirittura le armi, garantendosi così le benemerenze di cui continua a godere ancora adesso. Da latitante riallaccia i rapporti con la procura di Bologna, che lo indaga sua volta per i reati finanziari, e patteggia la pena di quattro anni e quattro mesi per aver corrotto i finanzieri incaricati di una verifica fiscale sulla sua azienda riminese. Il pm Ercolani, invece, non “tratta”: dopo anni di accertamenti (oltre ai carabinieri hanno collaborato Capitaneria e Guardia di finanza) ha chiuso la complessa indagine e non ha perso le speranze di portare davanti a un giudice l’imprenditore diventato avventuriero.

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