Dritan: «Ho ucciso anche Mannina»

Rimini

 

RIMINI. «Ho strangolato Mannina col filo elettrico: c’è voluto prima che morisse. Ho infierito perché non sopportavo che fosse stato con Lidia, l’amore della mia vita. Poi, quando tutto è finito, ho mandato Monica a prendere una pala e l’ho sepolto lì, ai laghetti: avevo il suo telefonino, tutto quello che mi serviva per arrivare alla mia ex».

Dritan Demiraj, il pasticciere albanese in carcere per l’omicidio di Lidia Nusdorfi (la madre di suo figlio accoltellata alla stazione di Mozzate, vicino a Como, l’1 marzo scorso) ha confessato di aver ucciso la sera precedente, il 28 febbraio, anche l’ultimo fidanzato della donna: il trentenne Silvio Mannina. Le già flebili speranze di ritrovare in vita l’uomo scomparso (del caso si è occupato anche Chi l’ha visto?) si sono infrante ieri nel crudo e circostanziato racconto che Dritan, assistito dall’avvocato difensore Massimiliano Orrù, ha reso davanti al pm Simone Pezzotti e ai carabinieri di Como. Questa mattina il detenuto sarà trasferito in Romagna e accompagnato dagli investigatori nella zona da lui indicata, i laghi dell’ex cava Incal, tra San Martino dei Mulini e Sant’Ermete. «Ci andavo a pesca, vi farò ritrovare il cadavere».

L’interrogatorio è durato quasi cinque ore. Temendo che Monica Sanchi, la sua ultima fiamma riccionese coinvolta ormai fino al collo nel doppio delitto, potesse a questo punto vuotare il sacco fino in fondo, l’albanese ha giocato d’anticipo.

Vuole lasciare intendere di essersi macchiato di due delitti d’impeto, scollegati tra loro, forse nell’illusione di evitare l’ergastolo. Gli investigatori, invece, leggono nelle sue azioni un piano diabolico: uccidere Lidia e poi far ricadere la colpa su Mannina. Per metterlo in atto Dritan si è servito di Monica, la donna riccionese che si era innamorata di lui. Accampando il pretesto dei figli bisognosi della madre le ha chiesto di aiutarlo a rintracciare la sua ex compagna. E’ stata così Monica ad adescare su Facebook Silvio Mannina, l’ultimo fidanzato di Lidia. Lo ha attirato a Rimini il 28 febbraio per un incontro galante ed è passato a prenderlo in stazione. Poi, con la scusa di volersi appartare con lui, lo ha condotto nella zona dei laghetti dove ad attendere i due c’era Dritan. Aveva bisogno di lui per arrivare a Lidia. L’albanese ha affrontato Mannina, l’ha scaraventato fuori dall’auto, l’ha minacciato: «Chiama Lidia, prendi un appuntamento con lei se vuoi passarla liscia». Spaesato, in preda al terrore, il giovane ha obbedito. Poche parole, non voleva mettere nei guai la donna, poi Dritan gli ha strappato il cellulare dalle mani. «Ha cercato di riprenderselo e io l’ho tramortito con due pugni. Poi nella memoria del cellulare ho scovato un filmato dove lui era con Lidia in atteggiamenti intimi e non ci ho visto più». Con sé aveva il filo elettrico («L’ho trovato in macchina»), glielo ha stretto al collo. A lungo. Con tutta la forza. «Monica? Protestava, mi diceva di smettere, ma non l’ho ascoltata. Ero accecato dalla gelosia». Stando al racconto di Dritan, sarebbe stata proprio Monica, su sua indicazione, a procurarsi una pala a Rimini, mentre lui vegliava il cadavere. «L’ho seppellito io stesso». Il giorno dopo, l’1 marzo, fingendosi Mannina e con la complicità di Monica che digitava in perfetto italiano, ha continuato a spedire messaggi a Lidia per fissare definitivamente l’appuntamento mortale. Lei deve aver subodorato qualcosa: ha spostato tre volte l’incontro: Malpensa, Saronno, poi Mozzate. «Perché non rispondi al telefono?». «Si è rotto il microfono, posso solo messaggiarti». Nel sottopasso, l’agguato. Dritan ha aggredito e accoltellato a morte Lidia, poi è tornato a Rimini dove, nel frattempo, si era precostituito un alibi grazie all’appoggio del datore di lavoro. Nel viaggio di ritorno ha fatto sparire il coltello e il cellulare dell’italiano. Deve aver pensato di avercela fatta, di essere stato più furbo di tutti. La “scomparsa” di Mannina avrebbe attirato su di lui ogni sospetto, i tabulati telefonici avrebbero confermato i contatti tra la sua utenza e quella della vittima. E’ tornato a fare il bravo papà, l’onesto lavoratore. Le telecamere della stazione comasca avevano però ripreso il suo vero volto, quello di un assassino senza scrupoli.

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