Addio a Giorgio Clementi, nel suo bar si è scritta la storia di Verucchio

VERUCCHIO. Non c’è bisogno di essere sindaco, scienziato o astronauta per lasciare un segno e passare alla storia delle comunità. Specie in piccole realtà come Verucchio, dove il medico del paese, il farmacista, il parroco, il parrucchiere e soprattutto il barista diventano di famiglia. Sono di tutti, a prescindere dal cognome e dalle parentele di sangue.

Giorgio Clementi era una di queste figure e ieri mattina la cittadina malatestiana si è svegliata triste e sentendosi un po’ più sola alla notizia che il suo di cuore si era spento nella notte alla soglia degli 88 anni. Tutti, dal Dopoguerra al primo decennio del Terzo Millennio, sono cresciuti nel suo bar. Il Centrale sotto i portici di Piazza Malatesta, ai piedi del municipio.

Lo aveva aperto subito dopo la guerra, al ritorno da Milano dove aveva lavorato alla Rizzoli e in società con il fratello Orlando. Per qualche anno. Poi è stato sempre il suo regno, suo e dell’inseparabile moglie Maria. Neve, nebbia, temporali, per oltre mezzo secolo non c’è stato santo che tenesse: all’alba il caffè e la brioche erano già a disposizione per i pendolari e gli studenti che prendono il bus per le scuole superiori.

A lungo senza neppure il giorno di riposo settimanale. Lei a risalire la Fratta ancora buia con l’immancabile Ciao o a piedi. Lui con la sua 124 gialla. “Giorgio un bicchiere di vino e le carte grazie” e “Maria, una piccola” durante le partite dei Mondiali di calcio sono stati un must per generazioni di verucchiesi. Quante battaglie verbali dietro quel bancone, quante sanguigne discussioni per quel Bologna quasi seconda fede!

All’apparenza un po’ burbero, ma col sorriso sotto i baffi e la battuta pronta da buon barista d’antan, ha scritto, come detto, a suo modo pagine di storia del paese. Al banco e con le altre grandi passioni: la produzione di vino e soprattutto le api.

«E’ stato lucidissimo fino alla fine e qualche giorno fa ricordava per filo e per segno tanti fatti di quando era giovane e noi eravamo ancora bambini. In certi periodi è arrivato a vendere 1.500 quintali di vino all’anno e il miele, oltre a darlo a tutta Verucchio, venivano a chiederglielo da ogni paese vicino. Si raccomandava delle api anche l’ultima volta che abbiamo parlato» racconta il figlio Ivano, cresciuto in quel bar prima di studiare e farsi una vita fuori lasciando il testimone al fratello Roberto, che lo ha ereditato e lo porta avanti insieme alla moglie. Da una decina d’anni senza i genitori, ma c’è da scommettere che un’occhiatina da lontano il buon Giorgio abbia continuato a dargliela fino alla fine.

Non c’è invece da scommettere sul fatto che oggi alle 14.30 ci sarà tutta Verucchio a salutarlo un’ultima volta e accompagnarlo nell’ultimo viaggio al cimitero ai piedi della Rocca che lo ha visto nascere.

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