Rimini, rubato il cellulare di Zanza. "Era ciò che mi restava di lui"
«Furto ignobile»
Dopo la scomparsa di Maurizio, mamma Teresa era solita utilizzare quel cellulare. Per comunicare con i familiari, ma anche per sentire vicino quel figlio che ormai non c’è più. Venerdì sera scorso, invece, non ce l’aveva con sé. «Dovevo andare a fare la spesa - racconta Teresa - sarei stata via solo qualche minuto e il telefono nella borsetta mi pesava. Così l’ho lasciato sul tavolo in cucina, in un momento in cui a casa non c’era nessuno. Quando sono tornata, del cellulare non c’era più traccia». «Qualcuno sarà entrato, avrà visto il cellulare incustodito sul tavolo e deve averlo rubato - ipotizza la signora - l’abbiamo cercato in lungo e in largo, ma niente, non lo abbiamo più trovato».
Tutto perduto
«Non me l’aspettavo - confessa la mamma di “Zanza” - non pensavo di dovermi trovare ad affrontare anche questo. Tenendo in mano quel cellulare, guardando le fotografie che erano state scattate, riuscivo a sentire mio figlio ancora vicino a me, come se fosse ancora qui tra noi. E invece non c’è più nemmeno quello». È davvero disperata, mamma Teresa. Il dolore che si legge nei suoi occhi è quello di una madre già provata profondamente per la perdita del figlio, che dopo un mese e mezzo da quel tragico 25 settembre deve affrontare un nuovo dispiacere. Non è paragonabile certo, ma «cosa poteva farlo sentire più “presente” tra di noi, se non il cellulare che aveva usato lui stesso?» sottolinea la sorella di “Zanza”, supportando la madre in un momento di “piccolo grande dolore” che tocca tutta la famiglia. «Non abbiamo “tirato giù” neanche una foto», aggiunge la mamma, portando la mano al viso e ripensando proprio a tutte quelle immagini che erano impresse nel telefono. «E poi non c’erano solo foto sue, ne aveva fatte tante anche alla nipotina. Che peccato avere perso tutto».
«Chi l’ha rubato, magari non sapeva neanche che fosse suo, che era di una persona che non è più tra noi» riflette la mamma, esprimendo a voce alta un pensiero con cui forse spera di trovare una giustificazione all’azione commessa. Un’azione ancora più ignobile proprio perché ai danni di una persona che non è più in vita. «Ma mamma, non è possibile - le fa eco la figlia - bastava “aprire” il cellulare per capire di chi poteva essere. E mi sembra impossibile che non abbiano capito che fosse proprio il “suo”». Avendo a disposizione un intero “repertorio” di fotografie, non essere in grado di riconoscere quello che in tutto il mondo è l’icona del “vitellone romagnolo”, in effetti, è abbastanza inverosimile.
Una mano sulla coscienza
«Speriamo che qualcuno si metta la mano sulla coscienza e ci faccia riavere il suo cellulare , o almeno la scheda Sim, sperando di recuperare qualche foto» riferisce la sorella. «Non è una questione economica - puntualizza la donna - è un fatto affettivo, per noi davvero importante».