Sono un clandestino

Rimini

C’è una bugia, strumento diffuso di propaganda di questo ultimo tempo, che fa venire i brividi. Una bugia che sta un gradino sopra molte altre. Provo sconforto quando sento parlare dei migranti in “crociera”, della “pacchia che deve finire”, dei “giovanotti muscolosi e festanti”, ma va oltre lo sconforto sentir dire: “non bisogna paragonare i migranti/ clandestini attuali con i nostri nonni emigranti”. È una affermazione che si diffonde. Un cattivo umore che dilaga. Crudele!

N on serve a giustificare l’avversione istintiva e primitiva, verso i migranti, da parte di chi è stato migrante, non solo, serve a stabilire una differenza, una superiorità. Va oltre le preoccupazioni, le critiche, molte legittime, sulla gestione del fenomeno migratorio. Sul governo del quale si può e si deve discutere. Porte aperte, porte chiuse, semichiuse, si può discutere. Però, in questa affermazione, c’è altro, un giudizio o un pregiudizio razziale. Un giudizio di valore, che diventa disvalore, sugli individui, sui popoli. Che non hanno scelto quando e dove nascere. Coloro che fuggono dall’Africa oggi sarebbero esseri con dignità relativa rispetto a chi fuggiva dal Friuli, dalla Romagna o dalla Puglia 100 o 50 anni fa. Perché clandestini, violenti, ladri. Senza regolare permesso o contratto di lavoro! Non sarebbero come noi, non come i nostri nonni.

No! Non è vero!

Dobbiamo fermare questa deriva morale. Che diventa giudizio, pregiudizio, sulla provenienza, sulla religione, arrivando poi al colore della pelle e alla razza. Arrivando poi all’abisso della separazione dei bambini nelle scuole. Siamo stati clandestini anche noi. E non tutti eravamo irreprensibili. Clandestini, migranti economici, non profughi. La distinzione non è nella razza ma nella storia. Nei momenti storici. Nei luoghi dove sei nato. Io, nato in Puglia, sono stato clandestino! 37 anni fa lavoravo, clandestino e senza contratto e senza permesso in Svizzera, con i muratori, 11 ore al giorno, sabato compreso. Per 4 mesi. Con me c’erano molti ragazzi italiani e tanti padri di famiglia, che la domenica non uscivano di casa per evitare controlli di polizia. Era il 1980. Solo pochi decenni fa. 20 anni prima, con i miei genitori, vivevano in Svizzera migliaia di persone senza permesso o con moglie e figli e parenti e amici clandestini. Nascosti in casa. In attesa di un lavoro, per regolarizzare la propria esistenza! Come dimenticare? La verità è questa. Bisogna allora far entrare tutti? No, assolutamente! Ero e sono d’accordo con la linea Minniti! Ma le differenze di provenienza, valore umano, razziale, no. È un limite che non si può superare, ma che, ormai, molti hanno superato. Per cattiva fede, per pregiudizio culturale, per ignoranza, per sentito dire. Le condizioni dei nostri nonni migranti non erano diverse da quelle attuali. Per quantità e per qualità! Anzi, i migranti odierni fuggono anche dalla violenza e dalle guerre. Si migrava per fame, per il sovraffollamento. Prima dal nord e poi dal sud. E più miglioravano le condizioni economiche più si partiva. Si, proprio così. Dopo l’unita d’Italia, con il miglioramento delle condizioni di vita, di salute, grazie ai nuovi ospedali e alle nuove possibilità di cura, cresceva la popolazione ma anche l’emigrazione, in cerca di condizioni ancora migliori. Non basta aiutarli in casa loro. È evidente. Due grandi esodi: 1861-1930 e 1946-1980. 3 milioni di italiani emigrati in Francia fra il 1861 e il 1930, 14 milioni fra il 1876 e il 1915 lasciarono l’Italia, nello stesso periodo 7,6 milioni attraversarono l’Atlantico. Molti non arrivarono mai. Come adesso. Viaggiavano su “vascelli della morte”. Come adesso. Anche loro, sì, anche noi. Senza contratti di lavoro. Clandestini. Secondo il Museo Nazionale dell’Emigrazione e secondo le ricerche di Arrigo Petacco: 45 morti sul piroscafo “città di Torino”; 20 morti per colera, 18 per fame, 206 per malattie varie sul Matteo Brazzo; 34 morti per fame e per asfissia sul Cacha; sul Remo 96 morti per colera; 576 morti per il naufragio dell’Utopia a Gibilterra; 300 per il naufragio del Principessa Mafalda vicino al Brasile. Si potrebbe continuare. Un tragico film che abbiamo rivisto. Ma siamo oggi senza lacrime e digrignamo i denti.

E come ci accoglievano in America? Erano desiderosi di abbracciarci? Tutti bravi italiani? Tutti in regola, con permessi, contratti? Nel 1909 il New York Times scriveva: “gli italiani sono persone tese ed eccitabili... si suppone che l’italiano sia un criminale... accoltellatori ed assassini”. Nel 1967 il Presidente della Commissione Giustizia degli Usa relazionava così su una indagine sul crimine che coinvolgeva gli italiani: “ci sono 24 gruppi in relazione fra loro, operano come cartelli di criminali...”. Nel 1973 il Presidente Nixon diceva: “noi protestiamo contro l’ingresso nel nostro Paese di persone che abbassano gli standard di vita americani, che appartengono ad un ordine di intelligenza inferiore... la differenza sta nell’odore... non riesci a trovarne uno che sia onesto...”. Diceva il disonesto Nixon. Nel 1912, l’Ispettorato per l’immigrazione del Congresso americano diceva degli italiani: “si presentano in due, poi diventano 4, 6, 10... sono dediti al furto e violenti”. Parlavano di noi, non degli africani o dei Rom. Era ingiusto, ma era così.

Dal 1946 al 1980 ci fu una seconda grande ondata. 2.5 milioni in Svizzera. All’inizio nelle baracche, molti clandestini. Quasi due milioni in Germania. Dal 1876 al 1976, sono partiti 1.163 Emiliano romagnoli, Rimini fra le città con più emigrazione. In 100 anni sono partiti senza più tornare 18.725.000 italiani. Nel mondo ci sono più di 60 milioni di Oriundi! Siamo andati anche in Turchia, Libia, Libano, Marocco, Tunisia. Emigravamo noi in Africa.

Dobbiamo adesso aprire le braccia? Accogliere tutti? No, basterebbe aprire le menti. Ricordare, conoscere, discernere. Dovremmo esserne capaci, più di altri. Se si alimenta la paura e il pregiudizio, non risolviamo i problemi. Li complichiamo. Oggi ci sono 510 milioni di europei e 1300 milioni di africani, fra 35 anni, 450 milioni di europei e 2500 milioni di africani. Questo è il fenomeno gigantesco da governare. Con la demagogia, la paura, l’odio, il pregiudizio, abbiamo già perso. Anche la nostra anima.

(*analista politico)

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