Omicidio di Rimini, la supertestimone inchioda il killer: «Ho visto la vittima stesa a terra»

Rimini

RIMINI. Ventuno chilometri orari. È la velocità media con cui la morte è corsa incontro a Makha Niang, il 26enne lavapiatti senegalese, freddato con due colpi di 357 Magnum la notte tra il 17 e 18 aprile scorsi, mentre seduto sullo schienale di una panchina della Passeggiata degli Artisti, accanto al ponte di via Coletti, cercava di concordare un appuntamento al telefono con la giovane prostituta ungherese con cui, ogni tanto, scacciava la nostalgia della moglie rimasta in patria. A raccontarlo l’indagine coordinata dal sostituto procuratore Paolo Gengarelli, condotta sul campo (in rigoroso ordine alfabetico) dal Nucleo investigativo del Reparto operativo dei carabinieri e della Squadra mobile della polizia della questura. È uno dei tanti precisi riscontri investigativi in un «processo indiziario», come sottolineato in conferenza stampa dal procuratore capo Elisabetta Melotti, che hanno permesso al Gip Vinicio Cantarini di emettere l’ordine di custodia cautelare per omicidio volontario aggravato dai futili motivi a carico di Genard Llanaj, 28 anni. Spacciatore con alle spalle due condanne patteggiate, con il pallino delle armi, quella notte non si sarebbe messo espressamente a caccia di Makha, anche se il movente razziale, dopo la confessione, poi ritrattata fatta al compagno di cella, non lo fa escludere a priori. Certo è, invece, che il 18 aprile, tra l’1,45, orario d’uscita dall’hotel di viale Vespucci (uno dei tre alberghi cittadini dove aveva preso altrettante stanze) e l’1,55, orario in cui ha sparato due volte, Llanaj era «alla ricerca proprio di un qualunque bersaglio da colpire».

L’auto del killer

Senza ombra di dubbio l’albanese è l’unico attore principale di una pellicola il cui nastro è stato riavvolto anche grazie al prezioso lavoro fatto dagli esperti del Gabinetto interregionale di polizia scientifica di Padova e dal Ris dei carabinieri di Parma. Un film dove le riprese di una dozzina di telecamere disseminate lungo il tracciato percorso dal Suv di colore nero, «compatibile e con segni particolari identici a quello nella disponibilità di Llanaj», raccontano che dalla Tiguan, non è mai sceso nessuno da quando l’indagato c’è risalito uscendo dall’albergo. E che il Suv, a passo d’uomo, non si è fermato fino all’incrocio tra via Coletti e la Passeggiata degli Artisti.

La supertestimone

Sosta sanguinosa che sarà raccontata al Pm da due supertestimoni: un uomo e una ciclista che le riprese delle telecamere facevano intuire potesse aver visto in presa diretta l’esecuzione. Per poterla rintracciare, la procura ha chiesto la collaborazione della stampa. E proprio la lettura delle locandine fuori da un’edicola ha spinto la testimone oculare a farsi avanti. La paura di mettersi in una situazione più grande di lei l’ha però spinta inizialmente a raccontare un’altra verità. Messa alle strette, dopo aver spiegato d’aver “mentito” per paura, ha raccontato quello che successivamente sarà confermato dai residui di polvere da sparo, trovati nell’abitacolo dalle analisi dei Ris. E quanto già verbalizzato dal primo super testimone. Ovvero che l’autista del Suv, dopo essersi fermato, aveva allungato il braccio verso il finestrino del passeggero che era aperto e, messa la mano che impugnava il revolver fuori, aveva tirato il grilletto due volte. L’auto era quindi ripartita a tutta velocità e scesa dal ponte aveva svoltato a destra in via Adige. «Ho visto anche la vittima stesa per terra» verbalizzerà.

Nessun complice

Dall’indagine per l’omicidio, ne è uscito completamente pulito il 22enne Artmir Mehmetllanaj, che il presunto assassino (difeso di fiducia dall’avvocato Tiziana Casali) tornerà a trovare alle 2,20 della stessa notte. Il ragazzo dovrà rispondere solo della detenzione illegale e della ricettazione in concorso della 357 Magnum «arma compatibile con quella usata per uccidere Makka» trovata sotto il tappetino del sedile del Suv di Llanaj. Macchina che i carabinieri stavano cercando dalla notte del 31 marzo, quando a Sant’Ermete erano finiti in strada dei proiettili esplosi da un appartamento. Destino ha voluto che la sera del 18 aprile proprio l’equipaggio del Radiomobile che aveva eseguito quell’intervento ha trovato il Suv sulla propria strada, dando il via ad una indagine tutt’altro che semplice.

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