Sfregio al Pirata del ciclismo: l’immagine del cadavere di Marco Pantani torna in televisione

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RIMINI. Nel frullatore dell’ultima puntata delle “Iene” (Italia Uno) non è finito soltanto un gatto cinese (letteralmente) e la vicenda familiare, ambientata nel Forlivese, di un giovane con problemi psichiatrici, ma anche l’immagine del cadavere, irrigidito, di Marco Pantani. Una sequenza riproposta più volte a corredo di un servizio che ha riproposto vecchi dubbi, fugati da due inchieste accompagnate da una sequenza di “esclusiva” e “mai viste prima” del corpo senza vita del campione. Fotogrammi che, in realtà, non aggiungono niente alla storia di Marco Pantani, sia sportiva, sia umana, sia giudiziaria. La seconda inchiesta, nata nell’estate 2014 con la presentazione di un esposto da parte dei genitori del Pirata e chiusa con l’archiviazione, ha infatti confermato e rafforzato l’esito della prima indagine condotta dal pm Paolo Gengarelli. Dopo mesi e mesi di indagini tese ad approfondire tutti i dubbi e i suggerimenti sottoposti dai legali e dai consulenti della famiglia del campione, e sulla base dei nuovi accertamenti scientifici l’allora procuratore capo di Rimini, Paolo Giovagnoli, aveva chiesto e ottenuto l’archiviazione. La parola definitiva l’ha messa poco più di un anno fa la Cassazione. Il Pirata morì in una stanza chiusa dall’interno per l’azione prevalente di uno psicofarmaco rispetto alla cocaina, tanto da far pensare - stando alle conclusioni del procuratore - più al suicidio che al sovradosaggio accidentale: sostanze assunte, in ogni caso, senza costrizione. Quelle che anche l’altra sera in tv sono state presentate senza alcun contraddittorio e definite “prove” sono state ampiamente vagliate e bocciate come semplici suggestioni. La cosa più vera alla quale si è assistito è il dolore e il tormento di Mamma Tonina. «L’ipotesi dell’omicidio» secondo il Gip Vinicio Cantarini che ha archiviato la seconda inchiesta si riduce a «mera congettura, fantasiosa, ipotesi cioè minimamente percorribile con una ricostruzione che sia plausibile e ragionevole sulla base delle risultanze investigative».

Nessun argomento nuovo è stato proposto dalle “Iene”: anche la storia della “pallina” di cocaina che uno degli infermieri intervenuti non ricorda (che gli stessi poliziotti scambiarono per “cotone” e che la dottoressa del 118 invece ricordava bene almeno nelle interviste televisive di maggio 2014 prima che scoppiasse il caso) è stata vagliata e superata dalle indagini. Il particolare di quel “batuffolo” accanto al corpo (si scoprirà solo dal successivo esame in sede di autopsia che il “bolo” era coca ricoperta di pane) poteva facilmente sfuggire in quei concitati momenti. Si vuole insinuare che ce l’abbia messa la polizia? Un depistaggio consistito, sempre secondo i “complottisti”, nello smontare e rimontare un lavandino in pochi minuti. Di qui l’“agguato” mediatico sotto casa dell’ispettore che - secondo il commento dell’autore del servizio - «condusse le indagini». Niente però sembra giustificare l’insistenza sulle immagini del cadavere.

Uno sfregio che, a giudicare da alcune reazioni sui social, ha finito per indignare molti che amano il Pirata e cominciano a interrogarsi sulle ragioni che spingono a distanza di quattordici anni dalla tragedia a confutare pervicacemente, spesso con artifici retorici, l’evidenza dei fatti. A meno che non si riduca tutto alle immagini choc da proporre al telespettatore: il gatto nel frullatore nel servizio della riminese Giulia Innocenzi e la tragica effigie del campione sul pavimento.

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