Spaventato a morte dai “guardacaccia” a Rimini, il ministero condannato al risarcimento

Riccione

RIMINI. I guardiacaccia piombarono pistole alla mano sui cacciatori riccionesi che intendevano “incastrare” indossando passamontagna e bandane. Un «controllo alla Rambo», secondo la definizione di uno dei giudici che si sono occupati del caso, riaperto a partire da una interrogazione parlamentare, dalle conseguenze tragiche: Mario Botticelli, 82 anni, costretto a “non muoversi e a spogliarsi”, stremato dalla tensione, fu colto da un attacco cardiaco e perse la vita. Spaventato a morte.

A tredici anni dai fatti il Tribunale di Trani, nei giorni scorsi, ha riconosciuto le responsabilità degli imputati principali (alla sbarra per una serie di episodi avvenuti in Puglia tra il 2003 e il 2006): solo la prescrizione li ha salvati dalle accuse di morte come conseguenza di altro reato e violenza privata.

Un sovrintendente del Corpo forestale dello Stato è stato condannato a tre anni e sei mesi per falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici; ad altre tre guardie venatorie volontarie del Wwf, è stata inflitta la pena di due anni e sei mesi ciascuno.

I giudici, inoltre, hanno condannato il ministero delle Politiche agricole e forestali e la Provincia di Bari a risarcire la moglie e i due figli del cacciatore romagnolo. Oltre ai familiari della vittima si era inoltre costituita parte civile - per la prima volta in Italia - anche la Federazione Nazionale della Caccia, con il patrocinio dell’avvocato riminese Paolo Righi. All’associazione, che potrà rivalersi adesso in sede civile, è stato riconosciuto il diritto di tutelare interessi e incolumità degli iscritti.

Botticelli era stato colto dal malore fatale durante un controllo venatorio (era a caccia con tre amici romagnoli) avvenuto in a Spinazzola (Bari) il 6 novembre 2005.

Sospettandolo, a torto, di bracconaggio le guardie avevano utilizzato metodi fin troppo decisi, addirittura violenti.

Gli autori di quel controllo considerato poco ortodosso operavano, secondo la tesi dell’avvocato Righi, accolta dai giudici, «nello svolgimento (e comunque in occasione e in virtù dello svolgimento) di funzioni di vigilanza venatoria a loro attribuiti». All’epoca dei fatti uno degli imputati era il coordinatore regionale pugliese del Wwf; altri erano guardie venatorie volontarie, e l’ultimo, appunto, un sovrintendente del corpo forestale dello Stato. Nel corso delle indagini nell’abitazione di questi, erano stati trovati richiami da caccia illegali che, secondo l’accusa, alcuni di loro nascondevano nelle zone di caccia per poi accusare i cacciatori della loro detenzione. Il gruppo riccionese era stato avvicinato dai volontari e trattato in modo vessatorio, ben al di là delle procedure consentite per accertare le violazioni di cui erano accusati: l’uso di registratori elettronici per attirare gli animali. Botticelli, stando alle testimonianze, era stato costretto a inginocchiarsi e sottoposto a una perquisizione personale. L’atteggiamento irriguardoso e aggressivo aveva avuto una conseguenza tragica e imprevista: l’attacco cardiaco.

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