Cuoco arrestato a Rimini per l’omicidio di un ragazzo in Perù nel 1995

Rimini

RIMINI. A Rimini vive da 23 anni, da quando appena 22enne ha lasciato il Perù. In città ha costruito tutta la sua vita da adulto. Ha messo su famiglia con una connazionale, è diventato padre di cinque figli, un paio minorenni, che mantiene lavorando come cuoco. Un perfetto signor nessuno fino al pomeriggio di giovedì scorso, quando la sua vita potrebbe essere cambiata per sempre.

Ombre del passato

Fermato per un normale controllo nella zona della stazione da personale della Polfer, infatti, anziché vedersi restituire il documento d’identità, l’uomo si è visto infilare un paio di manette ai polsi. Il motivo? Il terminale del ministero dell’Interno dove l’agente ha inserito il suo nome, ha scoperto che sul suo capo, dal lontano 1995, pende un mandato d’arresto internazionale. Le autorità di Lima, infatti, lo accusano di aver assassinato a colpi di pistola un altro giovane, durante uno scontro tra bande avvenuto in una strada di Parque Alto distretto di Surlo, il 22 ottobre del ’95. Così, anzichèéandare la lavoro, si è ritrovato in una stanza della Polfer prima, della questura dopo, e poi in una cella del carcere.

La sua verità

Casetti dove ieri pomeriggio ha ricevuto la visita dell’avvocato Enrico Graziosi. Al legale ha giurato di non essere un assassino; di aver fatto parte di una banda quando era ragazzo, ma di non aver mai saputo, in tutti questi anni, di essere ricercato per qualche reato nel paese d’origine, men che meno per un omicidio che nega d’aver commesso. «In Italia è un cittadino modello. Non ha mai avuto problemi con la legge di nessun tipo. È un lavoratore instancabile e molto apprezzato» sottolinea il legale. Che come il suo assistito ora dovrà attendere la prossima settimana per avere maggiori dettagli su questa vicenda ancora molto nebulosa. Per lunedì, infatti, è fissata l’udienza in Corte d’Appello a Bologna che dovrà esprimersi sulla richiesta di estradizione nel paese sud americano. Il cuoco “riminese” è sotto choc. Più volte ha ripetuto di non aver mai avuto ricevuto un solo atto che annunciasse la sua incriminazione. «Ha molta paura. Teme all’idea di tornare in un Paese che ormai non sente più suo dove potrebbe subire dei trattamenti non proprio umani», conclude l’avvocato Graziosi.

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