Causa in tribunale a Rimini per diagnosi tumore in ritardo. "Quel medico mi ha rovinato la vita"

Rimini

RIMINI. Il suo unico errore, dice senza trattenere le lacrime, è stato quello di fermarsi «a un solo consulto, avrei dovuto chiedere più pareri, perché io quella massa nel mio seno la sentivo e la sentiva anche lui, il mio dottore, che però continuava a dirmi che non era nulla di grave». A parlare è una riminese di 50enne che da cinque continua ad andare sotto i ferri dopo che le hanno asportato «un seno e parte dell’ascella per un tumore e cinque metastasi su cui si poteva intervenire molto prima evitando il calvario a cui sono condannata per tutta la vita».

Il perito del tribunale

La donna trattiene a stento la rabbia: ha deciso di fare causa al medico e adesso è arrivata la perizia del tribunale che conferma quella di parte, chiesta dal suo avvocato, Stefano Caroli. Nella consulenza chiesta dal giudice si legge infatti che la donna era affetta da «carcinoma lobulare, caratterizzato da una peculiare difficoltà diagnosticata con elevata probabilità di negatività degli esami strumentali». E in effetti dalle mammografie e dalle ecografie, fatte nel 2011, non risultava nulla, nonostante la donna e lo stesso medico sentissero, palpando il seno, che qualcosa c’era. Questo, secondo la perita del tribunale, avrebbe dovuto «fare eseguire più correttamente e precauzionalmente un esame citologico», perché si indagasse «sulla presenza di un carcinoma lobulare, conoscendo il senologo le subdole caratteristiche».

Il giorno del “giudizio”

La 50enne riminese si è trovata con cinque metastasi e ha dovuto fare una asportazione totale del seno e di parte dell’ascella per la presenza dei linfonodi. Lei ricorda il giorno in cui sono arrivati i risultati dell’esame citologico che aveva «chiesto con insistenza» e che confermava il carcinoma di diversi centimetri: «Il medico non sapeva come dirmelo, non mi guardava negli occhi, usava parole poco chiare, io davo i pugni alla scrivania, urlavo e piangevo, è stato uno strazio, perché quell’uomo era mio amico, lo conosco da una vita, abbiamo mangiato alla stessa tavola, di lui mi fidavo ciecamente e per colpa sua, adesso, la mia vita è rovinata per sempre».

In cura da uno psicologo

Le operazioni si sono quindi susseguite nel tempo a partire dal maggio 2013; l’ultima, un intervento di ricostruzione, è stata fatta nel giugno scorso. Nel frattempo la donna è andata in cura da uno psicologo, perché «mi è caduto il mondo addosso: ero già stata colpita da leucemia negli anni Novanta, ho un carattere forte, molto forte, e ho una famiglia alle spalle che mi sostiene, ma questa volta, se mi avessero diagnosticato in tempo il tumore, sarebbero potuti intervenire in modo mirato senza asportare tutto e senza costringermi al dolore, alla cura ormonale, ai controlli per il resto della vita, durante la quale mi guarderò allo specchio e non potrò dimenticare quanto accaduto a causa dei segni che porto sul mio corpo».

I soldi e l’amicizia

La donna si è affidata a un avvocato e ha intentato una causa civile dopo che le è stata riconosciuta una invalidità del 26 per cento. La richiesta non è stata ancora stabilita, ma potrebbe aggirarsi attorno ai 200mila euro. Lei però scuote la testa e spiega che «il denaro in questa vicenda è davvero un aspetto secondario, perché quel medico mi ha rovinato la vita e nulla potrà ridarmela come era prima». Non solo: lei, assicura, non sarebbe neanche andata davanti a un giudice se «il medico non si fosse volatilizzato dopo quello che ha fatto, se non fosse sparito dopo avermi assicurato che sarebbe stato al mio fianco».

Prevenzione e pareri

L’aspetto che le sta più a cuore, quindi, è quello extragiudiziale, legato alla «salute di tutte le donne che possono fare il mio errore, affidarsi al parere di un solo medico e volere essere solo rassicurate, sentendosi dire che va tutto bene e che non c’è nulla di cui preoccuparsi, quando invece toccandosi si sente che qualcosa c’è». La 50enne riminese assicura quindi che porterà avanti la sua «battaglia», perché «la prevenzione è fondamentale e non bisogna avere paura di dire ciò che si pensa prima che sia tardi».

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