«Non ti paghiamo: ti resta poco da vivere». Paziente denuncia il furto dei dati clinici a Rimini

Rimini

RIMINI. Una sessantenne infermiera dell’ospedale di Rimini è indagata con l’accusa di “accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico”: reato che, aggravato dalla funzione di incaricata di pubblico servizio, prevede una pena fino a cinque anni di reclusione. L’operatrice sanitaria, secondo l’accusa, avrebbe fatto nel tempo un centinaio di accessi non motivati alla banca dati sanitaria per monitorare la salute di quella che lei stessa avrebbe definito una «lontana parente». Il sospetto è che la sua intenzione fosse quella di prendere visione della cartella clinica della paziente per poi informare delle sue condizioni altri familiari particolarmente interessanti all’evoluzione della malattia della donna, non per motivi di affetto o vicinanza, ma per interesse.

È stata infatti la stessa paziente, una pensionata riminese sessantacinquenne, a denunciare il presunto “furto” dei dati riservati contenuti nella sua cartella clinica. Nonostante avesse nascosto a tutti lo stadio avanzato della patologia di cui soffre, i suoi parenti - con i quali non è in buoni rapporti per un’antica diatriba legale (una causa vinta da lei) - ne conoscevano gli sviluppi più drammatici. Al punto che un brutto giorno le avrebbero comunicato sulla faccia e senza troppi preamboli di non avere più intenzione di rispettare l’accordo che li costringe a privarsi di un immobile per pagare il risarcimento dovutole. «Non vendiamo più l’appartamento: non c’è più bisogno visto che ti rimangono solo pochi mesi di vita».

«Fosse l’ultima cosa che faccio, voglio sapere come hanno fatto a saperlo» ha detto la pensionata rivolgendosi all’ispettore Massimo Di Stefano, responsabile del posto fisso di polizia dell’ospedale Infermi. Gli agenti hanno scoperto così le “intrusioni” informatiche dell’infermiera, in servizio in un altro reparto, nel “file” di Oncologia. Con la sua password aveva accesso, ma non avrebbe motivato professionalmente le sue “curiosità”. L’operatrice sanitaria, difesa dall’avvocato Enrico Monti, respinge l’addebito, reato informatico e quindi di competenza della Dda. Il legale, dal canto suo, parla di «marginalità» della vicenda e di «estraneità» della cliente.

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