Malattie genetiche, maratona di sport a Rimini per aiutare Sara

RIMINI. Hanno risposto presente in 400. Chi con la racchetta in mano, chi per un giro di carte, chi molto semplicemente per la voglia di esserci e dare il proprio contributo nella lotta contro quel male subdolo ancora senza terapia che si chiama glicogenosi: la settima edizione della maratona notturna pro A.I.G. al Bagno 62 ha letteralmente stracciato tutti i record, di partecipazione e di emozioni. Vedendo scendere sotto rete per il beach tennis e sfidarsi a burraco tre generazioni fra le 21 di sabato e le 9 di domenica scorsi: mamme, papà, figli e nipoti che si sono divertiti a fin di bene facendo sport e condividendo tanti momenti conviviali. Dai “pit stop” a bordo campo con spuntini ogni ora a base di cous cous e frutta (all’alba anche gli immancabili bomboloni fumanti) all’Inno di Mameli da brividi lungo la schiena intonato da Kelly Joyce sotto le stelle, per finire con le note suonate in riva al mare al pianoforte da Davide Tura mentre sorgeva il sole. Tutto perfetto e alla fine, al motto «nessuno può fare tutto ma in 400 al Bagno 62 abbiamo fatto qualcosa», ecco anche l’annuncio più bello: «Sono stati raccolti 2516 euro che saranno destinati per finanziare borse di studio al laboratorio di biologia molecolare dell’Ospedale Gaslini di Genova».

E’ Tiziana, consigliera uscente dell’Associazione Italiana Glicogenosi per cui è referente per la Romagna e mamma di Sara, un’adolescente colpita dalla rarissima malattia genetica, a raccontare la battaglia quotidiana con una malattia che colpisce un bimbo ogni 100.000 ed è quasi sconosciuta ai più.

Tiziana, partiamo dal principio e dalla seconda metà degli anni ’90 quando sorse l’A.I.G.

«Fino alla nostra nascita, nel 1996, la Glicogenosi in Italia non era neanche studiata, tanto è rara. Con la nostra azione abbiamo quindi sollecitato un ricercatore italiano che si era trasferito negli Stati Uniti, il dottor Luigi Varesio scomparso purtroppo di recente, che ha iniziato a occuparsene nel laboratorio di biologia molecolare dell’ospedale Gaslini di Genova. Ogni anno con iniziative varie, donazioni e il 5Xmille riusciamo a raccogliere sui 150.000 euro, che destiniamo alla promozione di borse di studio con diversi istituti di ricerca, ad aiutare le famiglie più in difficoltà (questa malattia costringe il genitore a restare a casa a occuparsi dei propri figli) e ad attivare contatti con il resto del mondo. Non ultimi quelli con un ricercatore americano che qualche settimana fa ha attivato nel Connecticut la prima sperimentazione di una terapia sulla Glicogenosi di tipo 1A su un ragazzo di 30 anni, “rivoluzione” che ci aveva annunciato due anni fa quando venne a incontrarci qui a Rimini».

Voi come vi siete accorti che Sara era stata colpita?

«Durante lo svezzamento la bimba aveva come degli svenimenti e ad appena undici mesi è stata ricoverata per il fegato ingrossato. I medici temevano si trattasse di un tumore, perché non ci sono sintomi precisi della Glicogenosi, ma una settimana dopo, quando era ancora in ospedale, ha avuto una grossa crisi glicemica e una dottoressa che si occupava dei diabetici l’ha riconosciuta ipotizzando si trattasse invece di questa malattia. La glicemia ottimale ha un valore fra i 60 e gli 80, lei aveva 14, il limite del coma (diversi bambini purtroppo ci vanno durante queste crisi) e per fortuna era già in ospedale: quando i piccoli stanno male bisogna infatti portarceli, perché non possono non mangiare e serve un nutrimento con flebo in certi casi. A quel punto, ci hanno trasferiti a Milano per tutti gli esami del caso ed è arrivata la conferma».

Non esistono cure definitive?

«Non ce ne sono. L’unica terapia è la dieta, che consiste nel frazionare i pasti nelle 24 ore, di giorno e notte, ed esclude completamente tutti gli zuccheri semplici: quindi lattosio e fruttosio, latte e derivati, dolci, frutta... La principale fonte di alimentazione, il 60-65%, è fatta di carboidrati perché sono a lento rilascio e di notte si prende un amido di mais crudo che ha le stesse caratteristiche. Ora che Sara è grandicella riesce a resistere anche cinque ore, da piccina non più di due-tre e da bimba per due anni è stata alimentata esclusivamente con la sonda naso-gastrica. Non abbiamo praticamente mai dormito tutta la notte, facendo i turni per svegliarla».

E con la scuola come avete fatto?

«Già dall’asilo aveva un orologino al polso che gli suonava quando doveva alimentarsi e le responsabili erano state informate su cosa poteva mangiare. La stessa cosa alle elementari. Le prime volte che è andata in gita, alle medie, è stato un patema ma le insegnanti sono state bravissime: mettevano la sveglia e andavano a chiamarla, così tutte le compagne. Lei mi mandava un messaggio dopo ogni “spuntino”, ma ricordo che una sera che non l’aveva fatto sono andata in panico e ho svegliato tutto l’albergo».

La stessa cosa capiterà con le vostre vacanze.

«Il problema è quando si va fuori dall’Italia, perché deve mangiare molti carboidrati ma pochi grassi e poco unto per proteggere il fegato, quindi ho sempre una valigia con il cibo adatto con noi. Anche perché ci è capitato ad esempio di tremare per una coda in autostrada. Ci premuriamo poi che ci sia sempre un ospedale nei paraggi che conosca la patologia, in caso ci fosse bisogno, ma oramai siamo attrezzati un po’ su tutto: anche quando esce e va magari in discoteca ha sempre nella borsetta dei cracker o qualcosa per le emergenze. Devo dire che sia noi che Sara abbiamo sempre avuto vicino persone speciali: sono stati gli stessi professori a convincerci a farla andare in gita, ai compleanni le amiche hanno sempre fatto in modo potesse essere partecipe e sta vivendo una vita, non solo clinicamente, normale».

Oltre a quello di sua figlia, in provincia ci sono altri casi?

«Con la sua stessa tipologia c’è una ragazza di Santarcangelo di 24 anni, con un’altra tipologia due ragazzi a Novafeltria e San Marino. Ogni tipologia (epatica o muscolare) ha fra l’altro una propria ricerca mirata, quello che si fa per una non sempre va bene per l’altra e quindi la ricerca è ancor più importante. In questi giorni è stato con noi in spiaggia uno dei fondatori dell’A.I.G., il signor Cotelli, che ha un figlio di 32 anni affetto da Glicogenosi e ci raccontava che quando era piccino era talmente sconosciuta che gli avevano detto non sarebbe arrivato neanche all’età scolare: fu allora che si mise insieme a un gruppo di genitori e nacque l’associazione. Per fortuna oggi le cose sono cambiate, si è capito che una dieta ad hoc ti consente di conviverci, anche se a occuparsene in Italia sono oggi solo i pediatri essendo una malattia genetica: noi con la nostra azione stiamo cercando di riuscire a formare anche equipe di medici specialistici che si occupano dell’adulto».

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