Rimini, con la “pistola” contro i carabinieri. Ma soffre di sindrome del reduce di guerra

Rimini

RIMINI. Ha perso il controllo quando sotto casa ha visto degli uomini in divisa e li ha scambiati per fantasmi del suo passato. Sotto l’effetto dell’alcol un uomo di 45 anni di nazionalità serba, reduce della guerra nell’ex Jugoslavia, da anni residente in Italia, si è scagliato contro i carabinieri intervenuti su segnalazione di alcuni avventori di un locale che poco prima avevano notato che l’uomo aveva una pistola in tasca. Si trattava in realtà di un’arma “soft-air”, fedele riproduzione di un vero revolver, priva del tappo rosso. La vicenda risale a domenica sera e lo straniero, bloccato dai militari della stazione di Misano Adriatico dopo una breve colluttazione, è finito in manette con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Ieri mattina davanti al giudice lo slavo si è scusato e ha spiegato che il suo comportamento è il frutto dell’effetto combinato di una “serataccia” dove ha esagerato con la bottiglia e dei suoi problemi psicologico. Il quarantacinquenne, difeso dall’avvocato Andrea Tura, è infatti un ex militare affetto da un «Disturbo da stress post traumatico cronico», una patologia psichiatrica che colpisce soprattutto i reduci da conflitti o missioni militari, chiamata anche sindrome del Vietnam. Anche alla luce del problema che affligge il suo assistito, l’avvocato difensore ha chiesto che l’uomo venga processato con rito abbreviato condizionato alla deposizione dello psichiatra, un noto specialista riminese, dal quale è in cura da tempo. Nel frattempo, in attesa del giudizio, è stato scarcerato con obbligo di firma.

A Rimini, in tale senso, c’è un precedente che risale al novembre 2011: un ufficiale dell’esercito fu giudicato non imputabile dopo la perizia psichiatrica. Risultò, infatti, vittima del ricordo delle pene patite, che leniva con l’alcol, ed era votato all’autodistruzione: davanti a una divisa, scrisse l’esperto, «reinnesca flashback o rivissuti sugli eventi traumatici» e diventa violento. Due in particolari gli episodi che lo segnarono: nel 2005 in Iraq fu l’unico superstite dell’equipaggio ufficiale di un elicottero precipitato. Doveva esserci anche lui, ma aveva un turno di riposo: «Ho sempre avuto un forte rimorso per essermi salvato», spiegò al consulente medico. L’altro, tre anni dopo in Afghanistan dove l’esercito lo aveva rispedito nonostante la precedente drammatica esperienza, fu testimone di un attentato kamikaze all’ambasciata.

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