Intervenne in una rissa in campo e Rimini: «Mi sono buttato per fare da scudo umano e gli ho salvato la vita»

Calcio

RIMINI. Non ci ha pensato due volte e quando ha visto che quella sedia stava per andare a colpire un giocatore a terra tempestato di botte, si è scagliato nel mezzo per fare da scudo con il proprio corpo. Risultato: le sediate sono finite contro di lui e pure i calci con tanto di tacchetti sono finiti contro le sue costole. Hamdan Atim, 24enne del Ciad che di mestiere fa l’addetto all’accoglienza per l’agenzia Hsl, è stato quindi portato in ospedale per farsi curare; ma il dolore fisico è stato attenuato dalle decine di ringraziamenti e complimenti ricevuti, perfino quelli dei medici i quali hanno spiegato che senza il suo intervento la situazione, per chi era rimasto nel mezzo della rissa, sarebbe finita decisamente peggio. Ora a distanza di qualche giorno da quella partita di un torneo sul lungomare, finita sul giornale per l’intervento della polizia e per l’esplosione di violenza tra due squadre avversarie, il giovane è tornato al suo lavoro.

Atim, quando si è accorto che la situazione stava degenerando?

«All’improvviso, quando ho visto che in uno dei campi da gioco dove si stava disputando il torneo tutti i calciatori andavano verso un unico punto. Ho avuto la sensazione che qualcosa non andasse bene e mi sono precipitato. Ho iniziato a spostare di peso tutta la gente che si era affollata di fronte alla porta di ingresso e sono entrato per capire e per limitare i danni. In un attimo la situazione era già un disastro».

Si è messo in mezzo per difendere chi veniva picchiato?

«Ho visto un giocatore che spingeva un avversario contro la rete esterna, nel frattempo lo prendeva a pugni; arrivato un compagno di squadra dell’aggressore, questo ha assestato un calcio in faccia e mentre prendeva la sedia per inveire, io ho spostato il primo aggressore e mi sono buttato in mezzo per riparare dalle sediate la vittima. Nonostante il dolore, io e altri miei colleghi abbiamo continuato nel tentativo di separare le due squadre, fortunatamente ci siamo riusciti anche con l’aiuto dei sanitari».

Quando ha visto che brandivano una sedia non ha temuto che potesse finire male?

«Ho agito di istinto. I medici e gli operatori dell’ambulanza hanno detto che ho salvato la vita a quel ragazzo, ma io l’ho fatto solo perché pensavo fosse la cosa giusta da fare. Non l’ho fatto certo per finire sul giornale: io mi sono messo messo davanti e ho fatto da scudo con il mio metro e ottantacinque».

Le era già capitato in passato?

«Certamente, in Africa è capitato spesso, non mi sono mai piaciuti i violenti»

Quando è arrivato in Italia?

«Nel 2011, a 17 anni, dopo un lungo viaggio cominciato a 11 anni: da solo ho attraversato il Kenya, il Sudan, l’Etiopia, l’Eritrea, l’Algeria, la Tunisia, la Libia. Poi mi hanno costretto a imbarcarmi, non sapevo nemmeno dove stavo andando. Appena arrivato in Italia ho avuto la fortuna di conoscere persone fantastiche, che mi hanno aiutato e ora lavoro per l’agenzia Hsl».

Alla fine cosa le ha fatto più piacere dopo quello che è accaduto?

«Di sicuro avere protetto uno che era in difficoltà. Ma anche le tante persone che mi hanno ringraziato, dai ragazzi del bar, all’organizzazione, dagli gli arbitri agli operatori sanitari intervenuti mi hanno fatto capire che ho fatto la cosa giusta. E per me questo vuole dire tanto».

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