«Fai schifo, sei nero, vattene via da qui». Bimbo di cinque anni cacciato dal parco

Rimini

RIMINI. «Fai schifo, sei nero, vai via da qui». Sono queste alcune delle parole che si è sentito rivolgere un bimbo di appena cinque anni, la cui unica “colpa” è stata quella di andare al parco a giocare, assieme ai fratelli più grandi, in quella che doveva essere una normale mattinata di divertimento. Fino a quando il piccolo è finito nel mirino di un gruppo di ragazzine che lo hanno apostrofato con invettive a sfondo razzista. A prendere le sue difese i due fratellini più grandi, che però lo hanno portato via dopo avere capito che era meglio cambiare aria. Un episodio nel quale omettiamo ogni riferimento per tutelare i minori coinvolti e che ha fatto esplodere la rabbia della madre del piccolo, la quale amareggiata denuncia: «Purtroppo non si tratta di fatti isolati».

Ci racconta com’è andata?
«Premetto che ero indecisa se raccontare o meno quanto era accaduto ma purtroppo mi sono scontrata con una situazione che mi ha fatto riflettere, perché ci sono state persone che non hanno capito la gravità, che hanno ridacchiato divertite».

Chi c’era al parco?
«Mio figlio di cinque anni, i suoi due fratellini di undici e tredici anni: stavano giocando come accade spesso tra di loro e con altri amici. Purtroppo per loro però hanno trovato un gruppetto di ragazzine, circa 13 anni, che non ha gradito la presenza di mio figlio di cinque anni, per il colore della sua pelle».

Cosa gli hanno detto?
«Si sono rivolti a lui dicendogli “lì non puoi stare perché sei nero”, oppure “che schifo, sei nero, con te non gioco, vattene via”. Una serie di frasi davvero brutte, razziste, rivolte a un piccolo di appena cinque anni».

Cosa è accaduto dopo?
«E’ accaduto che i fratellini più grandi, che erano lì con lui, lo hanno portato via quando hanno capito che era meglio allontanarsi».

Lei è intervenuta?
«Io non me la sono presa con quelle ragazzine, perché anche loro sono piccole e magari non hanno neanche colto la gravità di quello che hanno fatto. Ma ciò che mi ha fatto più rabbia è quello che è successo dopo, quando sono andata dai loro genitori che erano a casa e che sono riuscita a trovare in un secondo momento».

Perché è andata da loro?
«Perché se avessimo parlato di un litigio o di un altro tipo di insulti mai e poi mai sarei voluta "andare a fondo", ma in questo caso volevo dire ai genitori delle ragazze che questo non doveva passare sotto silenzio. Volevo che spiegassero anche loro che un bimbo di cinque anni non può essere allontanato da un parco giochi per il colore della sua pelle».

Lo hanno spiegato?
«Guardi, diciamo che è stato l’aspetto che più mi ha amareggiata. Mi hanno detto che non dovevo ingigantire e che in questa società sempre più multietnica bisognava abituarsi a questo tipo di situazioni».

È stata lei a ingigantire, insomma?
«Per loro sembra proprio di sì. Ma non sono fatti isolati nella società, si ripetono in modo sempre più frequente, ovunque e purtroppo a tutte le età, e se non prendiamo coscienza che bisogna intervenire per fare capire che si tratta di atteggiamenti gravissimi, questi comportamenti prenderanno una deriva incontrollabile».

A suo figlio cosa ha detto?
«Nulla. Spero solo che non ne abbia risentito troppo. E spero anche che nella sua vita non si debba giustificare e stare sulla difensiva per il colore della sua pelle».

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