Il poliziotto in malattia giocava a tennis, addio divisa

Tennis

RIMINI. Era in malattia per una seria forma di “lombosciatalgia”, ma impugnava la racchetta per partecipare a tornei di tennis; chiedeva di evitare i servizi con la pistola perché troppo pesante, ma poi imbracciava un basso da quattro chili e saliva sul palco con la sua band musicale. L'assistente capo della polizia di Stato, in servizio all’epoca dei fatti alla polaria dell'aeroporto di Rimini, finito nei guai per assenteismo, è stato destituito. Il decreto del ministero dell’Interno, firmato una settimana fa dal capo della polizia e direttore generale della pubblica sicurezza Franco Gabrielli, è stato appena notificato all’agente (era sospeso dal servizio dal dicembre scorso). In colpo solo, a 44 anni di età e una notevole anzianità di servizio, l’uomo perde divisa, stipendio e lavoro. E questo indipendentemente dall’inchiesta penale nei suoi confronti, ancora nella fase delle indagini preliminari (il pm Davide Ercolani lo accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato e falso). Il diretto interessato contro il provvedimento potrà adesso ricorrere al Tar dell’Emilia Romagna oppure presentare un ricorso straordinario al presidente della Repubblica.

Gli organi disciplinari ritengono che con la sua condotta abbia compromesso il vincolo di fiducia con l’amministrazione di appartenenza. Il ministero ha accolto la proposta del consiglio provinciale di disciplina che si è espresso a maggioranza dopo avere esaminato gli atti e valutato, tra l’altro, anche il danno di immagine. La condotta del poliziotto, che era stato incastrato dagli stessi colleghi della polaria, è risultata «contraria al senso dell’onore del senso morale» che dovrebbero caratterizzare l’operato di un rappresentante delle forze dell’ordine.

Il diretto interessato, però non ci sta a passare per uno che ha disonorato la divisa e si prepara al contrattacco sia in sede amministrativa sia penale. Difeso dall’avvocato Massimiliano Orrù, si professa innocente e, forte della documentazione clinica che certifica la sua patologia (una seria forma di lombosciatalgia, postumo di un intervento chirurgico alla schiena) non ci sta a passare per “furbetto” o “fannullone”. Il prolungarsi della convalescenza non sarebbe stata una sua scelta, ma il frutto dei tempi tecnici di valutazione della commissione medica. «Il tennis? Se sento il minimo dolore posso smettere in ogni momento, quando voglio, cosa che sul lavoro non mi è possibile - ha detto al giudice - A un torneo, a una partita, posso dire di no. Non posso invece rifiutarmi di prendere parte a certi servizi incompatibili con il mio mal di schiena».

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