Omicidio Makha, arriva la svolta: in galera c’è un supertestimone

Rimini

RIMINI. Potrebbe essere arrivata la svolta nella delicata indagine sull’omicidio del lavapiatti senegalese Makha Niang, freddato da un colpo di pistola “vagante” la notte tra il 17 e 18 aprile scorso.

A giorni, infatti, il pubblico ministero Paolo Gengarelli che coordina l’inchiesta della Squadra mobile della questura e del Nucleo investigativo del reparto operativo dei carabinieri, avrà un importante faccia a faccia con un detenuto dei Casetti. Si tratta di un cittadino marocchino che ha contattato il Pm attraverso il proprio legale, affermando di aver informazioni di prima mano su quanto sarebbe avvenuto all’1,55 di quella notte.

Le parole del sospettato

Di prima mano perché a confidarle sarebbe stato Genard Llanaj, il 27enne albanese su cui grava il pesante sospetto di aver fatto fuoco contro il giovane africano. Con lui dietro le sbarre, lo ricordiamo, c’è anche il connazionale Artmir Mehmetllanaj, 22 anni, che fino al giorno del loro fermo, avvenuto il pomeriggio del 18 aprile, era un emerito sconosciuto per la giustizia italiana al contrario dell’amico già condannato in passato per traffico e spaccio di droga.

Svolta inaspettata

Difficile credere che Llanaj, che davanti al pubblico ministero ha fatto scena muta e con atteggiamento da “duro” aveva anche negato la sua collaborazione per sbloccare i suoi tanti cellulari, «non ricordo i codici» si era giustificato (stessa cosa fatta da Mehmetllanaj), abbia commesso una simile ingenuità. Ma se la procura si è subito mossa per ottenere il prima possibile il permesso dal Gip per organizzare l’incidente probatorio, l’inatteso testimone qualcosa di credibile deve averla già riferita. Quel che è certo è che una quindicina di giorni addietro, dopo il primo confronto con la polizia giudiziaria, Llanaj e Mehmetllanaj, che sono difesi di fiducia dagli avvocati Tiziana Casali e Massimo Melillo, sono stati divisi: uno è stato trasferito nel carcere di Pesaro, l’altro in quello di Forlì.

Svolta inattesa

Il marocchino ha fatto quello che non ha mai fatto la ciclista che ha affiancato per ben due volte il Suv di colore scuro da dove uno “sconosciuto”, quella notte, ha sparato contro Makha Niang, diventato un bersaglio non si sa ancora bene perchè. Si sa solo che quando i due proiettili l’hanno raggiunto attraversandogli la gamba destra accavallata sulla sinistra e il torace da sinistra a destra con l’ogiva che gli ha spaccato il cuore, era seduto sullo schienale di una panchina della “Passeggiata degli Artisti”, la pista ciclabile di collegamento tra il nuovo ponte di via Coletti e la Barafonda. In mano aveva il telefono con cui aveva parlato con la moglie, in Senegal, e con una giovane bulgara con cui aveva da un po’ di tempo instaurato un’affettuosa amicizia. La donna conosceva anche i due albanesi accusati di omicidio volontario in concorso morale e materiale, detenzione, ricettazione porto illegale d’arma da sparo e da taglio.

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