Li ho visti sparare dal Suv nero». E Niang aspettava un’“amica”

Rimini

RIMINI. Le ultime quattro chiamate che Makha Niang ha fatto col suo telefonino Samsung prima di essere ammazzato non hanno avuto risposta. Quando la destinataria di tanto interesse, un’amica da ricercare nelle notti di solitudine, gli ha finalmente ritelefonato, alle due di notte, lui era senza vita ai piedi della panchina dell’appuntamento. Freddato da due colpi di pistola di calibro intermedio esplosi dall’interno di un Suv nero con uno o due uomini a bordo. Il fuoristrada è stato visto da un testimone dapprima “rallentare e poi, in prossimità dell’incrocio, fare capolino e arrestarsi” a pochi metri dal bersaglio, perfettamente illuminato da un lampione: il 26enne senegalese seduto forse sullo schienale rialzato, con la gambe accavallate sulla seduta e lo smartphone in mano. Chi lo ha centrato, con un revolver potente, deve essere un buon tiratore e ha mirato alla figura. Un proiettile gli ha frantumato la caviglia, l’altro lo ha trapassato da spalla a spalla, e attraversando il torace gli ha fracassato l’omero, e tranciato l’aorta. «Due botti in rapida sequenza, poi il Suv è ripartito» ha ricordato poi il testimone che solo dopo la notizia dell’omicidio ha ricollegato quei “petardi” alla vettura scura. «Non ricordo altro, potrebbe avere visto qualcosa anche una donna che poco prima era passava di lì in bicicletta». Sono i suoi occhi e non quelli della videocamera di sorveglianza stradale a permettere di ricostruire l’orario e la sequenza del crimine. Le telecamere degli esercizi commerciali della zona hanno “rubato” solo qualche fotogramma della vittima: il giovane africano che spinge a mano la sua bici e si avvia senza fretta all’appuntamento con la morte. Doveva incontrare la sua amica? Lei, che abita a poca distanza dal luogo dell’omicidio ma non era in casa, è stata ascoltata dagli agenti della squadra mobile. Nega che tra lei e il senegalese ci fosse una storia sentimentale. Che cosa era per lui? Un’amica particolare. La definizione che lei dà del rapporto con il giovane, però, lo fa assomigliare all’identikit di un “cliente”, sebbene le modalità dell’approccio siano singolari e lui in tasca avesse appena venti euro. «Non ho legami, sono libera, non devo rispondere a nessuno». I familiari del ragazzo, che si sono rivolti all’avvocato Massimiliano Orrù, non sapevano di questa frequentazione e sulla reale natura della relazione il telefonino della vittima “dirà” più di mille parole messe a verbale adesso. Makha Niang, che poco distante aveva “legato” la bici col lucchetto, si trovava quindi lì per la donna? O magari aveva progettato di vedersi con qualcun altro su quella panchina in attesa che lei si liberasse dai suoi impegni? L’area del delitto anche ieri si è popolata degli agenti della Scientifica della polizia di Stato di Rimini che hanno setacciato a lungo la sponda del fiume Marecchia e i lati della strada sterrata alla ricerca delle ogive dei due proiettili che sembrano essersi disperse nel nulla. Un dettaglio “rivelatore” ricollegabile a quanto nel frattempo hanno raccolto i carabinieri nell’indagine che ha portato al fermo di due albanesi di 22 e 27 anni (A.M. e G.L.) per la detenzione di una pistola Smith&Wesson 357 magnum legata agli spari esplosi alla fine di marzo all’interno di un’abitazione di San Martino di Mulini. L’affanno degli investigatori nello spiegare che le due indagini non hanno niente a che vedere tra loro è smentito da una serie di circostanze. I due albanesi sono stati infatti sottoposti alla prova dello stub (su mani e abiti) per rilevare l’eventuale presenza di polveri da sparo. E soprattutto è stata effettuata la stessa analisi all’interno dell’abitacolo della vettura a loro in uso, una Tiguan Volkswagen. Un Suv di colore nero. L’altra coincidenza è che il più giovane dei due, che sarebbero cugini tra loro, alloggia da tre mesi in un residence nella zona di via Coletti. Un mini-appartamento nel quale potrebbe avere ospitato il parente nella notte del delitto. La vettura, segnalata dopo gli spari a San Martino dei Mulini, è stata intercettata da una pattuglia dei carabinieri in via Tripoli l’altra sera. Il giovane straniero alla guida ha ammesso di avere con sé un revolver: sotto il sedile del passeggero. Dall’udienza di convalida di oggi non c’è da attendersi molto (i due albanesi sono difesi dagli avvocati Tiziana Casali e Massimo Belillo), mentre saranno gli accertamenti tecnici a stabilire se tutto confluirà nel fascicolo per l’omicidio aperto dal pm Paolo Gengarelli.

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