Botte alla fermata dell'autobus

Rimini

RIMINI. Tenta estorsione e minacce. E’ l’accusa per la quale viene processato il padre di una giovane, all’epoca dei fatti sedicenne, che era stata picchiata da due ragazze di poco più grandi, a loro volta finite nei guai per il violento pestaggio. L’uomo, infatti, di fronte alla disperazione della figlia e alle ferite da lei riportate (complessivamente quaranta giorni di prognosi per una lesione all’occhio sinistro e un trama cervicale) si attaccò al telefono e inveì di brutto contro una delle responsabili, minacciandola e, secondo l’accusa, chiedendo conto anche dal punto di vista economico dell’ingiusto male subito dalla sua famiglia. Tutto comincia una mattina all’interno di un bar di una località del Riminese (molti dettagli vengono omessi per non rendere riconoscibili le protagoniste della vicenda, due delle quali allora minorenni). Sono le sette e fanno colazione nell’attesa dell’autobus. La fermata è dall’altro lato della strada. Una rimprovera l’altra di sparlare di lei alle sue spalle. Di mezzo c’è l’affettuosa amicizia di un ragazzino. Si sentono “rivali” e decidono di uscire fuori dal locale per “chiarirsi”. Una volta sole, però, scatta la rissa. La 17enne colpisce con un pugno sull’occhio la più piccola e quando lei cerca di reagire si ritrova aggredita da un’altra ragazza, appena 18enne che partecipa così al pestaggio. Le botte hanno fine soltanto quando arriva il bus. A scuola, però, la ragazzina ferita ha male dappertutto. Si chiude in bagno e scoppia a piangere: per avvertire la mamma dell’accaduto deve farsi prestare un telefonino: il suo si è rotto nell’aggressione. Di lì a poco si ritrova in ospedale. Il padre, quando viene a sapere quello che è accaduto, cerca un contatto con i genitori della diciassettenne. Lei però al telefono fa “muro” e così lui, almeno secondo l’accusa, oltrepassa i limiti non solo dell’educazione ma anche della legge. Minaccia e preannuncia, con toni considerati intimidatori, richiesta di denaro. La conseguenza è che adesso, a quasi tre anni dai fatti, si ritrova a processo anche lui (tentata estorsione e minacce). Così come la maggiorenne (lesioni). Mentre la “rivale” della figlia è finita davanti al giudice minorile.

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