Per i difensori Butungu adesso va assolto: «Una vita difficile, non violentò nessuno»

Rimini

RIMINI. Ci si ricorda ancora di Guerlin Butungu, il congolese condannato a sedici anni di reclusione per gli stupri di Rimini? A leggere i motivi del ricorso in appello depositato a Bologna dai suoi difensori (avvocati Riziero Angeletti e Francesco Zacheo) uno potrebbe pensare che lo straniero sia vittima di un colossale errore giudiziario (chiedono l’assoluzione per tutti i capi di imputazione) o quanto meno una personcina dal passato difficile che merita tutta la comprensione del mondo (leggi: attenuanti generiche). Di certo la turista polacca non si è violentata da sola, stesso discorso per la transessuale peruviana. Nel primo caso però, stando alla tesi dei difensori, «nessuna delle ricostruzioni e delle descrizioni effettuate dalla donna consentono di risalire alla persona del Butungu». Quanto al connazionale della ragazza, neppure lui «è in grado di riconoscere con certezza nelle foto che gli vengono mostrate». Il fatto che il congolese al momento dell’arresto abbia in tasca l’orologio del polacco «non può ritenersi sufficiente per attribuirgli responsabilità» neanche in ordine alla rapina visto che «occorrono elementi che non appaiono configurabili nel mero ritrovamento dell’oggetto». E le chiamate in correità dei minorenni? «Costituiscono mero espediente difensivo, smentito dalla condanna che i predetti hanno ricevuto all’esito del giudizio celebrato a loro carico per il medesimo reato». Butungu, insomma, non c’entra con le violenze ed è solo «nella speranza di ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole si è lasciato prendere da timori che ha ritenuto poter fugare solo con un atto dimostrativo di assunzione di responsabilità». Con la peruviana l’imputato ha riferito di aver avuto un rapporto consensuale ed è «per questa ragione che sono state rinvenute tracce del proprio Dna sul preservativo» recuperato. Per gli avvocati Angeletti e Zacheo il reato di spaccio nei confronti dei minori non sussiste in considerazione del fatto che tutto nasce dalle «mere dichiarazioni dei coimputati». Chiedono l’assoluzione anche per l’aggressione alla coppia avvenuta due settimane prima degli stupri e relegano le ammissioni dell’imputato alla scarsa comprensione della lingua italiana: «Ha confuso alcuni termini e, pur di insistere nella innocenza del reato di violenza sessuale, non ha badato a ciò che riferiva in ordine alla rapina».

I legali si soffermano poi sull’eventuale riconoscimento delle attenuanti generiche, negate dalla sentenza di primo grado. Fanno leva sulla giovane età del loro assistito, appena ventenne all’epoca dei fatti, e sul suo scarso radicamento in Italia, sul suo passato difficile che, per quanto si possa supporre in astratto, nessuno finora si è mai preso la briga di documentare. «La vita vissuta, la demolizione delle certezze e delle regole di una vita civile derivante dalle esperienze che lo hanno visto attore nel proprio Paese, la solitudine derivante dalla mancanza dei propri genitori, il comportamento processuale, le scuse formulate già in sede di interrogatorio in carcere, l’assenza di precedenti, non possono risultare ininfluenti ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui