Violenza sessuale negli uffici di un Comune del Riminese: ex segretario condannato a nove anni

Rimini

RIMINI. Nove anni di reclusione. E’ la pena inflitta ieri dal Tribunale di Rimini a un imputato sessantaduenne accusato di violenza sessuale aggravata continuata.

Secondo l’accusa l’imputato, all’epoca dei fatti segretario di un Comune del Riminese, approfittando anche del suo ruolo all’interno dell’ufficio e delle difficoltà di salute della parte offesa, avrebbe avuto rapporti intimi con lei. I presunti abusi sarebbero avvenuti in orario di lavoro, sebbene nessuno in municipio si fosse mai accorto di niente. L’imputato, difeso dall’avocato Piero Venturi, si è sempre professato innocente: scontato il ricorso in appello, una volta che saranno rese note le motivazioni del verdetto. Il pm Paola Bonetti aveva chiesto per l’imputato la pena dodici anni di reclusione.

I giudici (presidente Silvia Corinaldesi, giudici Benedetta Vitolo e Manuel Bianchi), che non gli hanno riconosciuto le attenuanti generiche, hanno disposto inoltre l’ interdizione perpetua dai pubblici uffici e una provvisionale immediatamente esecutiva di cinquantamila euro. La sentenza è stata pronunciata nel primo pomeriggio di ieri, alla presenza dell’imputato che è rimasto in silenzio. Prima del ritiro in camera di consiglio, si era assistito alle repliche. Come nella precedente udienza, dedicata alla requisitoria, si è tornato a discutere soprattutto del problema della donna, affetta da una seria forma di epilessia tanto da essere sottoposta, nel 2006, a una lobectomia, ovvero l’asportazione di una piccola parte del lobo temporale destro. Una patologia che le permetteva di avere contratti di “borsa lavoro” per le categorie protette, sebbene la consulente della difesa abbia ribadito in aula che la presunta vittima non sia, a suo avviso, limitata nella capacità di intendere e di volere. Altri testimoni, tra i quali il medico curante, hanno invece parlato di “ritardo cognitivo”: «Una adolescente nel corpo di una donna adulta».

«Si è approfittato di una disabile: è violenza per induzione» aveva concluso il pubblico ministero. Fatto certo è che nel 2012 la presunta vittima, a causa di un grave stato depressivo «con aggravamento delle crisi epilettiche, disturbi del sonno e dell’alimentazione», secondo quanto si legge nell’atto di costituzione di parte civile “sfogandosi” con uno psicoterapeuta e uno psichiatra, «realizzata la gravità dei fatti», raccontò dei presunti abusi. Li avrebbe subiti a lungo, fin dagli inizi del Duemila, senza fiatare, anche per il timore di ripercussioni sul lavoro. Rapporti sessuali sulla scrivania, sul termosifone dell’ufficio al secondo piano del Municipio, nel bagno “privato” del segretario comunale al quale avrebbe cercato di opporsi a volte «irrigidendosi», incrociando le braccia e le gambe, ma senza “successo”.

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