Perde la testa per una "escort": imprenditore a processo per rapina

Rimini

RIMINI. Ha rischiato di finire “mazziato” (come quel marito della celebre espressione popolare) il fidanzato di una seducente escort finito a processo per rapina e lesioni. L’imputato, fortunatamente per lui, è stato invece assolto dall’accusa più grave e condannato al minimo della pena (due mesi e venti giorni) per averla spinta con forza facendola cadere in strada, in reazione a uno sputo in piena faccia. “Immagini” processuali di un burrascoso rapporto che l’uomo, difeso dall’avvocato Stefano Brandina, ha descritto in lacrime davanti al giudice dell’udienza preliminare Sonia Pasini. Il racconto deve aver fatto breccia se perfino il pubblico ministero, alla fine, ha chiesto l’assoluzione per la rapina del telefonino della donna (uno degli oggetti che gli aveva regalato lui stesso). Lui, un quarantenne imprenditore riminese, difeso dall’avvocato Stefano Brandina, rammaricato per averle provocato delle lesioni con quell’improvvida e istintiva spinta, si fa un’unica “colpa”: «Sono innamorato». Una specie di ossessione che non lo abbandona neppure adesso, nonostante il fatto che in quel telefonino rimasto nelle sue mani abbia trovato le prove di tradimenti e bugie di ogni genere.

La storia tra i due risale al 2014. Il primo contatto è virtuale: galeotto è un sito di incontri. Da quel momento la vita dell’imprenditore non è più la stessa. Si frequentano e lui si convince di poterla redimere: vuole averla tutta per sé. Un desiderio costoso anche perché lei deve risolvere anche un altro dispendioso problema che sostiene di avere: la dipendenza dalla cocaina. Così l’uomo chiude i piccoli debiti che ha in giro con gli spacciatori e finanzia, con una somma iniziale di 3.500 euro, un periodo di permanenza in un istituto perché lei possa disintossicarsi. Quando si rivedono, in un hotel-residence della zona, lei dovrebbe essere “guarita” e invece per prima cosa gli propone di fumare assieme uno spinello. Nasce la discussione che di lì a poco li porterà, una volta in strada, a discutere. A un certo punto lei si gira e gli sputa in faccia. Di lì la reazione: una spinta, la caduta, il dolore alla costola. Lei scappa, lasciando per terra lo zaino e il telefonino. «Ho raccolto tutto per restituirglielo, ma non l’ho rintracciata». Lei nel frattempo va in ospedale e lui in breve si ritrova la polizia a casa. «Rapina».

Denuncia o no, però, la sua principale preoccupazione è non perdere la donna che ama. La cerca, la frequenta, di nuovo, riconosce il figlio che lei sostiene essere dell’uomo. Non chiede il test del Dna né si ferma di fronte al dubbio che non sia suo: in uno degli ultimi incontri lei lascia “aperto” Faceboook e lui scopre che la donna lo definisce “un pollo” con un’amica e deride la sua certezza di essere il padre: «Ahahah». Messaggi utili all’avvocato che li ha presentati al giudice per inquadrare il contesto della “rapina”, ma sui quali l’imprenditore è pronto a soprassedere. «Al cuore non si comanda».

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