Perso l'onore, presenta il conto

Rimini

RIMINI. Scopre grazie a un investigatore che i coniugi dei suoi figli (un maschio e una femmina) hanno una tresca tra loro, sotto il suo stesso tetto, e presenta letteralmente il conto a genero e nuora che hanno tradito la sua fiducia, prima ancora che i rispettivi compagni. Il suocero, proprietario della palazzina dove si trovano anche gli appartamenti dei figli, infatti, oltre a sbattere fuori di casa i due presunti fedifraghi, pretendeva che a pagare le spese per il detective, 28mila euro, fosse il genero “colpevole” di aver sedotto la cognata e «rovinato la famiglia». «Paga o ti mando la finanza». Un‘ comportamento ’intimazione che gli è costata l’accusa di estorsione. Adesso l’imprenditore, titolare di una nota azienda del Riminese leader sul territorio nel suo settore, difeso dall’avvocato Veniero Accreman, rischia una condanna. E’ infatti a processo con rito abbreviato davanti al giudice Sonia Pasini e il pubblico ministero ha chiesto ieri per lui la pena di un anno e otto mesi di reclusione, più una multa di millecinquecento euro. L’avvocato Accreman punta all’assoluzione del proprio cliente per l’assenza dell’elemento psicologico alla base del presunto ricatto: per quanto il ragionamento fosse giuridicamente infondato, infatti, l’imputato si era convinto che quei soldi gli fossero dovuti. Nella sua testa non “poteva” essere lui a pagare, economicamente oltre che moralmente, il prezzo del tradimento.

La “bomba” era scoppiata tre anni fa. Allo scopo di verificare i suoi sospetti, a partire da un malevolo pettegolezzo raccolto per caso, l’imprenditore aveva affidato a un investigatore privato il compito di mettere sotto osservazione il convivente della figlia. Le conclusioni del detective, contestate dai diretti interessati, erano andate oltre ogni previsione: l’uomo avrebbe avuto una relazione con la moglie del figlio dell’imprenditore. L’investigatore aveva documentato con alcune fotografie degli incontri tra cognati, lontani dalla palazzina di famiglia nella quale entrambi vivevano e li aveva ritratti assieme nella stessa auto. Messi sotto “processo” dal suocero i due hanno negato tutto, ma non sono stati creduti. Entrambi furono messi alla porta. Esasperato dalla dolorosa situazione, con ripercussioni a cascata sui suoi stessi figli ignari della presunta relazione e sui nipotini, l’imprenditore prese carta e penna per due volte, rivolgendosi all’ormai ex compagno della figlia. «Sei riuscito a rovinare la vita della mia famiglia, ma il nostro onore vincerà - si legge nella prima missiva, piena di amarezza - vergogna: lo avete fatto anche nel letto dei bambini, incuranti di tutto». E’ sul post-scriptum, però, che si concentra l’inchiesta dei carabinieri: un esplicito invito a rimborsarlo dei 28mila euro pagati per la parcella del detective. In una seconda lettera, poi, oltre a quella che l’avvocato Accreman ha definito «volontà di riscatto e volontà di vincere sul male ricevuto», si legge un riferimento ancora più chiaro e dai contenuti ritenuti “minacciosi”: «Dammi quei soldi o ti mando la finanza». La parte offesa, che in effetti subì anche una verifica fiscale, è assistito da Armida Urbinati. Per la legale la pretesa del “rimborso” era assolutamente arbitraria: «L’imprenditore si era fatto fatturare la parcella sui conti della ditta». La sentenza è prevista ad aprile.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui