Il Gip: «Tavares voleva annullare la bellezza di Gessica». Odiava anche l'Italia: «Vado con l'Isis»

Rimini

RIMINI. «L’aspetto più inquietante e sconvolgente» dell’aggressione con l’acido a Gessica Notaro è «la malvagità» sottesa all’«irragionevole movente»: «annullare la bellezza del suo volto, tratto caratterizzante della sua identità, ben sapendo che lei stava perseguendo una carriera nel mondo dello spettacolo». È quanto scrive il giudice Fiorella Casadei nelle motivazioni del verdetto di condanna a dieci anni di reclusione per Edson Tavares, pronunciato il 20 ottobre 2017 (rito abbreviato era accusato di lesioni gravissime pluriaggravate). Quanto accaduto alle 23.19 del 10 gennaio 2017 è stata «una mera dimostrazione di forza e di violenza fine a se stessa, attuata per puro senso di possesso e prevaricazione» da un uomo, prepotente e centrato su di sé, incattivito al punto di favoleggiare perfino un arruolamento nell’Isis. Tavares intendeva cancellare il fascino della donna che non poteva più avere, voleva portarle via tutto, futuro compreso, protraendo all’infinito la sua sofferenza. «L’uccisione di identità della vittima si rinnova nel quotidiano stillicidio dell’inevitabile raffronto fra l’immagine di sé fino al gesto distruttivo – e come riconsegnata dai ricordi e dalla pregressa autocoscienza – con l’immagine attuale così da rendere arduo riconoscere una continuità fra identità presente e passata, recuperabile solo attraverso un faticoso lavoro di rivalorizzazione del proprio io più profondo». Nelle 116 pagine di motivazioni il giudice Casadei passa analiticamente in rassegna gli indizi che convergono verso «l’unica ipotesi logicamente sostenibile, ossia quella dell’attribuibilità della condotta lesiva a Tavares e a nessun altro». «Una diversa ricostruzione del fatto – si ribadisce – non è logicamente possibile». «L’unica pista plausibile con esclusione di ogni possibile congettura alternativa» sono le prime dichiarazioni della ragazza in ospedale. «È stato Tavares, il mio ex». Un riconoscimento certo a prescindere dal fatto che non lo veda negli occhi: sono «le movenze, le caratteristiche fisiche, l’agilità dei movimenti» e la «mano scura» a renderlo inconfondibile dopo il lungo periodo di «stretta convivenza». La perizia conferma le impressioni della vittima: il getto fulmineo di acido solforico era “mirato” al volto.

Un’altra conferma della sequenza e dei tempi dell’agguato così come descritta da Gessica viene dalle immagini di una telecamera di sorveglianza. Intanto si esclude la presenza di terzi, e poi l’analisi antropometrica dei Ris di Parma formula un giudizio di compatibilità tra la figura dell’aggressore e l’imputato. Negli abiti sequestrati dalla Squadra mobile della questura, responsabile dell’indagine, a casa di Tavares vengono trovate tracce di acido solforico, mentre i tabulati confermano la sua presenza nella zona già due ore prima dell’aggressione. Nei minuti “decisivi”, però, non vuole essere disturbato e così stacca il cellulare. Inoltre possiede ancora la chiave che dà accesso all’area privata dei garage scelta per colpire. Il piano, che comprende anche il precostituirsi un «falso alibi», è «meticoloso». Si va «dal reperimento della sostanza di maggior impatto corrosivo, alla telefonata alla madre della vittima per avere notizie sulla reperibilità della stessa». Il proposito di fare del male a Gessica sarebbe maturato almeno dieci giorni prima, dalla scoperta cioè che lei aveva allacciato una nuova relazione sentimentale. È divorato dalla gelosia e sono in molti a saperlo, dopo la cattura per simulare il disinteresse verso la ex s’inventa una inesistente gravidanza della sua nuova fidanzata. «Le rovinerò la vita» aveva confidato in giro. La sua rabbia coinvolgeva anche l’Italia, il Paese che lo ospita da anni (Tavares è capoverdiano): «...se metto piede fuori da questo Paese faccio di tutto per arruolarmi nell’Isis – scrive a Gessica in un Sms due mesi prima dello sfregio – ma solo per venire a mettere una bomba perché io odio questo paese... odio tutti voi italiani». Un concetto che ribadisce anche in un’intercettazione in carcere dimostrando tutto «il disprezzo maturato verso lo Stato italiano». A completare il quadro di Tavares, non meritevole di attenuanti, c’è l’assenza di gesti di pentimento: «Nessun rimorso assume nell’imputato la valenza di spinta al suicidio, mai seriamente voluto, tanto che lo specialista del carcere attesta un grado di rischio lieve». Ecco perché, dunque, per il giudice Casadei la pena congrua per un fatto così grave (il processo riguardava solo l’aggressione con l’acido e non lo stalking) è determinata in dieci anni: senza lo “sconto” di un terzo previsto dal rito abbreviato sarebbero stati quindici.

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