La sfoglina "da combattimento": a mano impasto 80 uova al giorno

Rimini

RIMINI. Si è appassionata a mattarello e ricette aiutando la nonna come le bimbe di quasi tutte le famiglie romagnole, ma per diventare una “sfoglina da combattimento” è dovuta emigrare alle Canarie. È a centinaia di chilometri da casa che la 42enne riminese Alessandra De Rosa ha rispolverato quasi per caso il talento ereditario e ne ha fatto una professione a tutto tondo. E oggi, tornata a vivere all’ombra dell’Arco d’Augusto si triplica fra la “pastaia” in diversi ristoranti cittadini, la chef a domicilio e la docente di corsi di cucina. Senza perdere mai di vista i due splendidi bimbi di 6 e 8 anni messi al mondo sulle isole spagnole.

Alessandra, partiamo da lontano: tutto è cominciato da?

«Da nonna Luigia, per tutti “Gigia”. Avendo una madre lavoratrice sono stata molto con lei, che d’estate faceva la cuoca in albergo e d’inverno era la nostra baby sitter. L’imprinting è venuto da lì, anche se pure mamma è molto brava, cucina e fa a sua volta la stagione in hotel. Diciamo che siamo una famiglia di appassionate autodidatte, perché nessuna ha fatto scuole di cucina, ma in fondo in Romagna la vera scuola la si fa a casa».

Ha seguito le loro orme nelle strutture ricettive?

«No. Ho fatto l’Università a Firenze, un corso di laurea per diventare assistente sociale nel lontano 1998 e mi piaceva già spadellare in appartamento con le mie amiche, poi la vita ti porta spesso a fare cose diverse da quelle che pensi e in realtà ho preso tutt’altre direzioni rispetto agli studi. Ma non ho mai fatto neanche la stagione, mi piace avere il cliente davanti e ho lavorato più che altro nei bar fino ai 25 anni. Poi sono diventata segretaria al Circolo Tennis di Viserba, continuando sempre a organizzare cene, tanto che la mia era la “casa dell’Ale”, quella delle serate per 15-18 amici, un punto di riferimento per le varie compagnie e il gruppo del Circolo Velico. Fino al 2006 almeno».

Perché, cosa è successo quell’anno?

«Il 15 ottobre sono partita per portare una barca alle Canarie, era caldo, si stava bene e mi sono detta “se per caso trovo lavoro resto qua”: era venerdì e la domenica ho iniziato in un ristorante. Lì sono nati tutti due i figli e ci sono rimasta fino al 2014, poi tre anni fa sono tornata a casa e sono di nuovo qua a Rimini».

Come nasce invece l’esperienza da sfoglina?

«Per caso: un amico alle Canarie ha un ristorante che si chiama Clipper e una sera mi ha detto che era rimasto senza ravioli e mi ha chiesto se da buona romagnola sapevo farli. Da lì nata la collaborazione con Jacopo e poi, visto che sono una che non si ferma mai, ho iniziato a condurre corsi di cucina italiana (tagliatelle, cappelletti e piadina) su suggerimento di una psicologa. È alle Canarie che ho iniziato anche a cucinare a casa della gente, visto che iniziavano a cercarmi sempre più per le cene a domicilio e l’ho fatto diventare un lavoro».

Tornata a Rimini, ha messo a reddito quell’esperienza?

«Era la cosa più immediata, visto che non volevo tornare a fare la segretaria. Un giorno sono passata a prendere un caffè dalla “Marianna” e mi sono proposta: ora lavoro lì da tre anni e sono parte integrante di un gruppo di quattro persone. Lavoro per tutto il gruppo (anche a Osteria De’ Borg, Dallo Zio e Amorimini) e al Pizzicagnolo. È un impegno quasi quotidiano, che alterno con la chef a domicilio e i corsi di cucina che tengo anche qua. Al ristorante in media impasto 70-80 uova al giorno rigorosamente a mano e senza nessuna macchina a supporto quando faccio le tagliatelle e una cinquantina per i cappelletti».

E a domicilio quanto la chiamano?

«Diciamo un paio di volte al mese d’inverno e un po’ più d’estate, quando c’è più voglia di convivialità e si fanno serate in giardino. Per i ristoranti faccio tutti i tipi di pasta, ma la mia preferita restano sempre i cappelletti e i ravioli, a casa invece faccio interi menù e mi metto d’accordo con chi organizza la cena lasciando al proprietario la scelta senza forzare. Magari giocando un po’ con le proposte».

Per quali eventi la contattano?

«Spesso per le cene fra amici, quando la padrona di casa vuole godersi la serata senza dover stare sempre ai fornelli. Ma anche per compleanni, anniversari in famiglia... Il record l’ho fatto per una comunione con cinquanta persone. Paradossalmente in queste occasioni alla fine faccio più cose spagnole che romagnole, diciamo più tapas che piadina, e le cene diventano fusion: sono stata sempre curiosa e ho sempre provato di tutto in fatto di cibi e quindi non ho pregiudizi sulle ricette. Fatto salvo il fatto che il punto di partenza è la qualità, venendo da una famiglia che ha sempre utilizzato prodotti del campo di casa o dei contadini locali».

E i corsi di cucina come li organizza?

«Con l’associazione Are Ere Ire e all’interno del progetto Hogar, nato da un’amica che mi ha messo a disposizione casa sua. Diventa un discorso anche di socializing: in pratica abbiamo aperto casa alla gente, tanto che a fine serata consegno ai partecipanti un vassoietto con il cibo da portare via e voglio che la volta dopo mi portino una foto di qualcosa preparato da loro».

Chi vi partecipa?

«Il target è molto molto vario e va dalla casalinga che vuol affinare la tecnica al libero professionista che vuole invece fare poi il figo con le ragazze con la tagliatella fatta in casa, passando per il disoccupato che cerca un’opportunità per tornare nel mondo del lavoro. Un’amica addirittura portava le cose in ospedale la sera e tanti tornano poi a riferirmi i complimenti ricevuti, chi in famiglia e chi in altre occasioni».

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