Spaccio di droga nei locali, in diciotto rischiano il processo

Rimini

RIMINI. Diciotto persone, indagate nell’ambito della cosiddetta operazione “Titano”, rischiano di finire a processo per il loro presunto coinvolgimento in una ampia rete di spaccio di sostanze stupefacenti tra Rimini e San Marino, sgominata dalla Squadra mobile della questura e relativa a una serie di episodi risalenti principalmente al 2013. Gli agenti, su disposizione del pm Paolo Gengarelli, hanno notificato agli interessati l’avviso di conclusione delle indagini, preludio alla richiesta di rinvio a giudizio. Sarà poi il Gip del tribunale di Rimini a decidere se processare o meno gli imputati.

Nel corso delle operazioni di riscontro era stato sequestrato un chilo di cocaina ed erano venuti alla luce un canale di approvvigionamento con l’Olanda e uno smercio di banconote false con il coinvolgimento di due ristoratori di San Marino. Si era puntato il dito su uno dei “luoghi privilegiati” per l’attività di spaccio, il Coconuts, locale principe della movida riminese. Secondo gli investigatori i titolari (Lucio e Fabio Paesani, amministratore e gestore di fatto, fratelli tra loro) avrebbero tollerato che alcuni “pusher” albanesi vendessero la droga tra i tavoli e consentito ai clienti di consumare cocaina all’interno (nell’inchiesta era coinvolto anche un barista). L’impostazione accusatoria sulle “responsabilità” del locale non era stata condivisa dal Gip che aveva rigettato la richiesta di sequestro del locale avanzata dalla procura e ritenuto non sufficientemente grave il quadro indiziario. Fabio Paesani è sospettato di avere spacciato in più occasioni imprecisati quantitativi di cocaina, mentre Lucio Paesani, presidente del Consorzio del Porto, organizzatore della Molo Street parade, deve rispondere assieme al fratello dell’accusa di aver consentito al proprio locale «che venisse adibito a luogo di convegno di persone che ivi si davano allo spaccio o consumo di cocaina». Accuse che i due imprenditori, difesi dall’avvocato Paolo Righi, respingono. «Ci sono tutti gli elementi - spiega il legale - per arrivare a una piena assoluzione dei miei assistiti». I capi d’imputazione si riferiscono agli ultimi mesi del 2013, mentre la chiusura temporanea scattò nell’estate 2015 «a tutela della sicurezza e della salute», senza una attinenza diretta con l’inchiesta. Da allora gli imprenditori collaborano con la questura al mantenimento dell’ordine pubblico, anche se non sono mancati episodi di allarme all’interno o nelle immediate vicinanze.

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