«Qui ci sono 5 o 6 branchi. È stato un avvertimento per le amministrazioni»

Rimini

RIMINI. Pier Claudio Arrigoni è il responsabile posizione organizzativa dell’attività venatoria, pesca e misura agroambientali del Servizio Territoriale-Agricoltura-Caccia e Pesca di Rimini e ieri sera ha partecipato all’assemblea indetta dalla sindaca di Coriano “Mimma” Spinelli per fare un punto della situazione.

Arrigoni, come Provincia avete una sorta di censimento?

«La sensazione è che il numero si sia oramai stabilizzato: negli ottantamila ettari del Riminese ce ne sono fra i 35 e i 45, con uno scarto di massimo 5 unità. I nostri branchi possono essere infatti costituiti da un minimo di quattro a un massimo di sette esemplari e questo per ragioni ecologiche: sono 35-40.000 gli ettari di ambiente adatto al lupi, non ci sono cioè gli spazi per branchi da 30 come in Siberia o Alaska. Grazie ai controlli costanti che facciamo con i Carabinieri Forestali, possiamo dire che ci sono cinque-sei branchi in Alta Valmarecchia e uno o due in Alta Valconca, anche a cavallo con le Marche, e c’è qualche esemplare isolato. Si tratta in questi casi di lupi in dispersione: nei branchi si accoppiano infatti un solo maschio alfa e una femmina alfa e con loro restano i cuccioli di quell’anno (solitamente su quattro ne rimangono due) e qualche femmina dell’anno precedente, perché i maschi li allontanano quasi subito».

E’ il caso anche di quello ucciso e seviziato a Coriano?

«E’ il terzo lupo morto in quella zona dall’inizio dell’anno, quindi probabilmente là sta tentando di insinuarsi qualcosa o un branco sta allontanando i piccoli: uno delle Marche o di San Marino, visto che lungo la strada del Marano abbiamo avuto due investimenti di lupo nel solo 2017».

Si è fatto un’idea delle ragioni di un episodio tanto barbaro?

«Un qualcosa di simile era stato fatto in Toscana, con una testa posata a mo’ di trofeo in una rotonda, ma questo è ancora peggio perché si è voluto far vedere l’animale appeso anche ai bimbi della scuola. Detto che spero si arrivi presto a individuare il colpevole, si tratta senz’altro un avvertimento a noi amministrazioni che gestiamo la situazione. Nella fattispecie la Regione. E’ come dire “se tu non mi difendi abbastanza mi faccio giustizia da solo”, ma l’ente pubblico non può fare più di quello che fa, trattandosi di un animale protetto. Non si possono fare stragi o azioni dirette, ma solo elargire eco-indennizzi e fondi per la prevenzione. L’ultimo bando in materia è di qualche settimana fa, scadeva il 12 ottobre e finanzia acquisti di materiale appunto per la difesa da animali protetti sia in territorio cacciabile che non cacciabile: sono 13 le domande in istruttoria mentre tre sono state escluse. Va ricordato però che per avere diritto ai risarcimenti bisogna essere imprenditori agricoli in regola sotto tutti i punti di vista: l’agricoltore amatoriale non può accedervi e deve tenere la guardia alta da solo, mentre i primi devono rivolgersi non all’Assessorato all’Agricoltura come per i danni da fauna selvatica, ma all’Assessorato alla Sanità Pubblica perché si parla di danni da canidi e quindi anche di quelli provocati da volpi o cani selvatici».

Perché allora dovrebbe esserci bisogno di un “avvertimento” tanto sinistro?

«C’è qualche ritardo sui pagamenti dei contributi, in alcuni casi figli degli scollamenti burocratici nel passaggio di competenze dalle Province alla Regione, ma a volte causati anche dalle irregolarità di chi fa domanda (vedi i tre esclusi dei 16) e delle relative verifiche sulle istanze».

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