«Per fortuna a calcio era negato»

Rimini

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«Testardo, intransigente, non ascolta nessuno e se non eccelle in tutto quello che fa preferisce lasciare perdere». I difetti non gli mancano, insomma. Eppure Antonio Sabbioni non ha dubbi: «Meno male che è così, Simone è un ragazzo speciale». Si riferisce al figlio, campione 20enne di nuoto che dal 2014 al 2016, tra Mondiali ed Europei, ha vinto un bronzo nella 4x100 misti, un oro nella 4x50 misti, un argento nei 50 dorso e un bronzo nei 200 dorso mista. E il padre, ex insegnante di educazione fisica e titolare di un ristorante in viale Regina Elena, non nasconde di avere avuto un ruolo fondamentale.

Si ricorda quando ha iniziato Simone in piscina?

«A quattro anni. Ma non è stato amore a prima vista. E meno male che quella volta ho insistito».

In che senso?

«Nel senso che Simone era stato segnalato da un istruttore per l’agonismo e arrivato a 6 anni si era presentato in piscina ma non aveva legato con il gruppo, perché era arrivato qualche settimana in ritardo e si sentiva un po’ escluso».

Aveva abbandonato?

«Sì, si era dedicato al calcio. Già da piccolo quando si impuntava non era semplice convincerlo. La fortuna però ci ha aiutati».

In che modo?

«Quando andavo a prenderlo a calcio lo trovavo in punizione. Era negato per quello sport. In generale lui non è fatto per gli sport di squadra».

Come mai?

«Perché non accetta la responsabilità dell’insuccesso altrui. Mentre per se stesso la vive fino in fondo, con dedizione totale».

Quindi è lei che quella volta gli aveva detto di tornare in piscina?

«Esatto, è l’unico merito che mi attribuisco. Per il resto ha fatto tutto da solo. Anzi. Forse ho fatto bene un’altra cosa».

Quale?

«L’infiammazione intestinale che lo ha colpito nei mesi scorsi e non passava: ho visto che non stavano prendendo il toro per le corna. Allora ho portato mio figlio a Bologna per curarsi da un mio amico. I risultati, piano piano, stanno arrivando».

Alle Olimpiadi di Rio, dove Simone è stato eliminato, cosa è mancato?

«La zampata. Ma sono sicuro che è servito. Quelle sconfitte lo hanno fortificato. Ed è chiaro che lui punti sempre al massimo».

Vincere una Olimpiade?

«A piccoli passi. Prima ci sarebbero i Mondiali di Budapest, a cui tiene tantissimo. Ma è certo che il massimo per un nuotatore sia vincere l’olimpiade e Tokyo 2020 in condizioni di salute buone è alla sua portata».

Che rapporto ha con gli altri nuotatori italiani?

«Lui è un ragazzo aperto, simpatico, semplice. E questo viene percepito da tutti. L’altro giorno, per l’inaugurazione di Rimini Wellness, c’era Federica Pellegrini, ad esempio, con cui va d’accordissimo nonostante la differenza di età. A pranzo è venuta a mangiare nel nostro ristorante».

È fidanzato?

«Diciamo (ride, ndr) che in questo momento della sua vita la sua attenzione e dedizione è rivolta al nuoto».

Spesso Simone nelle interviste ringrazia la famiglia. È molto legato?

«Moltissimo. A tutti e da sempre. Compresi i due fratelli, Gabriele che si cimenta nel basket, Eugenio che lavora con me; e le due sorelle, Agnese che sta iniziando con il nuoto e Valeria che studia all’università Bocconi di Milano».

Il rapporto di Simone con la scuola com’è?

«Tasto dolente. E sa perché?»

Dica.

«Perché non eccelleva. Per niente. E come dicevo prima, a lui non piace quando non è tra i primi. Ho provato di tutto, l’ho minacciato in ogni modo».

Minacce di che tipo?

«Sono arrivato a dirgli che se non avesse studiato non avrebbe più nuotato».

È servito?

«Macché. Non conosce Simone. Mi ha risposto “toglimi tutto ma non il nuoto” e l’ha spuntata lui. Come sempre».

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