«Provocato, ho perso la testa: mi dispiace»

Rimini

RIMINI. Stavolta è stata la vita, e non un arbitro, a chiamare fuori i secondi. E Loris Stecca, affranto in un angolo della cella nella quale è recluso, si è ritrovato di nuovo solo, esortato come un tempo a tornare al centro del ring ad affrontare un avversario più temibile del portoricano Victor Callejas che con un gancio sinistro gli frantumò in un colpo solo il sogno mondiale, la mandibola e la fiducia nei propri mezzi: se stesso, il suo passato. Per trenta anni ha lottato per smentire, tra cadute e riscatti, quanti gli pronosticavano un futuro difficile lontano dal pugilato, attraverso un bella famiglia e l’impegno nel lavoro, prima come parcheggiatore e poi tuttofare alla darsena. Ora, nel parlatorio del carcere, si ritrova prigioniero di uno dei più triti cliché sulla boxe. Sprofondato nel momento in cui aveva realizzato il sogno di aprire una palestra intitolata a suo nome. Frastornato, deve rialzarsi e riprendere in mano il proprio destino: non può contare su nessuno. «Ho sbagliato, sono dispiaciuto e pentito per quello che è successo. Ma ho perso la testa, lei mi denigrava di continuo, era sprezzante nei miei confronti, specie dopo che si era sentita rifiutata come donna: all’ennesima provocazione sono scattato. Però non volevo ucciderla, altrimenti avrei colpito altrove», spiega agli avvocati Piero Ippoliti e Luca Ventaloro, gli unici che possono incontrarlo. Vorrebbe fumare. Lo conforta il fatto che le condizioni della socia, accoltellata in palestra sotto gli occhi dei clienti, migliorino, mentre non si perdona le sofferenze che sta infliggendo ai suoi cari. «La mia famiglia non c’entra, lasciatela in pace, non voglio coinvolgerla: chiedevo i soldi che mi spettavano per non far mancare il mio appoggio, lei me li negava per dispetto». L’accusa è tentato omicidio aggravato dalla premeditazione: domani è previsto l’interrogatorio dal giudice Sonia Pasini. «Non c’è stata premeditazione. Il coltello era già lì, nel borsello. Non l’ho portato apposta da casa. Cercavo le sigarette, dopo l’ennesima umiliazione».

I motivi di discussione con la 48enne socia di maggioranza della palestra (lei ha il 96 per cento delle quote, lui il 4) erano legate al valore dell’immagine del campione, ma anche a un rapporto irrisolto tra i due. «Non sei nessuno, non conti niente, ti mando via quando voglio» avrebbe più volte detto lei, ferendo l’orgoglio di Stecca. «Questi ragazzi vengono in palestra per me», ribatteva lui. L’ex pugile reclamava per sé, oltre che più soldi, anche maggior rispetto. «Ho sbagliato, ma lei mi sbeffeggiava e mi negava anche quel minimo che avevamo pattuito: non ricevo lo stipendio da due mesi. Ero esasperato: mi ha reso la vita un inferno da quando le ho detto che tra noi potevano esserci solo rapporti di lavoro e non di altro genere». Abbassa lo sguardo. La profonda stanchezza dell’uomo ha preso il posto della spavalderia tipica del personaggio. Gli investigatori (Squadra mobile e pm Gemma Gualdi) adesso rileggono in chiave negativa la frase che Stecca avrebbe pronunciato dopo la prima lite, quella della tarda mattinata, che ha preceduto l’aggressione. «Se non avessi avuto male alla schiena l’avrei scaraventata giù dal ballatoio». Una semplice sparata, una guasconata delle sue, assicura agli avvocati Ippoliti e Ventaloro. «Scherzavo, non dicevo sul serio: ero scivolato e nel cadere mi sono aggrappato a lei facendomi anche male. Ma era finita lì. Non è vero che ho tentato di sollevarla».

Gli amici di Loris, in città e sul web, gli testimoniano affetto e solidarietà: tutti lo conoscono come un uomo buono e generoso. Ci si domanda come e perché possa essersi reso autore di un’esplosione così violenta: finora aveva sempre tenuto a freno l’impulsività. Se lo chiede anche il fratello Maurizio, un altro grande della boxe, ora allenatore della nazionale. «Voglio capire bene la situazione, ma ha sbagliato a compiere un gesto del genere specie contro una donna. Il pugilato ci insegna a mettersi in difesa e a usare la testa». Tutti i codici della “nobile arte”, però, sono saltati di fronte a quel «Non sei nessuno». E il passato è tornato a prendere a pugni l’impossibile ricerca della normalità. «L’ho fatta grossa, ma non sono un mostro».

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