Commessi errori ma ora chiudiamo

Rimini

«Dovevamo intervenire prima? Sì. Sono stati commessi degli errori negli anni? Sì». Però adesso non si può fare finta di nulla, il campo nomadi di via Islanda va chiuso e una risposta va data a 45 persone, nate e cresciute a Rimini. Il sindaco Andrea Gnassi con il suo intervento chiude la “maratona” in aula dedicata al progetto nomadi: il campo va superato e le famiglie distribuite nei quartieri.

Non più microaree

E ora non chiamatele più microaree. Bensì “soluzioni modulari monofamiliari”. Il consiglio comunale, giovedì sera, per oltre sei ore, ha discusso della questione nomadi e dello smantellamento del campo di via Islanda. Le famiglie sinti, 45 persone in tutto, traslocheranno, con tanto di contratto da osservare scrupolosamente, con una serie di obblighi, in una decina di moduli diversi tra di loro. Mentre i romeni «dovranno andare via». Per recuperare la spesa per individuare e attrezzare l’area il Comune metterà poi in campo «tutti i meccanismi possibili». È Gnassi a tirare le somme sul progetto della maggioranza. Avvertendola, chiudendo il suo intervento, che «non c’è bacino elettorale che tenga». la «sindrome “no nel mio giardino” non appartiene al senso di responsabilità che dobbiamo avere».

Il primo cittadino prende parola intorno alla mezzanotte e spiega che la chiusura del campo è un «atto dovuto, il problema c’è e si discute, ma alla fine si decide». Perché «non è possibile fare sparire un pezzo di comunità riminese». Una città che «non riesce a trovare una soluzione per 45 persone fra cui bambini, anziani e persone gravemente malate, non è in grado di risolvere alcun problema».

Con l’adesione al bando regionale è iniziato il processo, che sarebbe comunque stato avviato, prosegue: che «via Islanda sia uno scandalo siamo d’accordo tutti e le preoccupazioni dei riminesi sono legittime». Tuttavia, osserva Gnassi, «dobbiamo uscire dal pendolo tra eccesso di pietismo ed estremismo anche violento». In aula c’erano anche bambini e «hanno ascoltato parole pesanti», non si «può dipingere un intero gruppo etnico come un gruppo di delinquenti».

Di certo Rimini non è una città bloccata dalla questione: «Il tema è delicato, ma la città va avanti». La soluzione individuata non sono «né mini né macro aree, moduli monofamiliare. Sarà una famiglia che viene nel quartiere». La «microarea non diventerà mai macro».

Il sindaco difende la scelta di intervenire per la messa in sicurezza del campo, un «dovere morale» spostare quei fili elettrici da terra, e apre al tema dell’autocostruzione di piccoli moduli, anche per altre fasce deboli. E ribadisce che verso i Sinti sarà una «solidarietà esigente, contrattualizzata», con una serie di obblighi. In modo da uscire dal percorso con quello che chiama un «patto di civiltà». Insomma, conclude, «quello che verrà fuori sarà civile».

Al momento la maggioranza sta ancora discutendo sull’individuazione delle aree. La proposta sarà pubblicata in modo da ricevere prima le osservazioni dei cittadini e poi il parere di compatibilità ambientale. Dopodiché scatterà l’iter consiliare.

“Vadano in affitto”

Inutile dirlo, Gioenzo Renzi (Fratelli d’Italia) ha un’altra idea. «Gnassi non ascolta le proteste dei cittadini e continua sulla strada dei trattamenti preferenziali ai nomadi. Il campo di via Islanda, illegale e vergognoso da decenni, va chiuso senza dubbio, ma la soluzione non è mettere sottosopra una città scatenando la rivolta dei cittadini preoccupati. Dopo la fallimentare integrazione dei nomadi residenti da decenni a Rimini, è ora che l’amministrazione chieda loro di lavorare per prendere una casa in affitto, o di acquistare un terreno con una casetta, o di fare richiesta di alloggio popolare, come fanno tutti i riminesi».

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