Neonato muore dopo il parto

Rimini

RIMINI

A distanza di cinque anni e mezzo dalla morte del neonato, avvenuta un’ora dopo il parto il 22 ottobre 2011, il giudice per le indagini preliminari Vinicio Cantarini ha disposto una nuova perizia, nelle forme dell’incidente probatorio, per capire la causa precisa del decesso e se c’era la possibilità di evitare la tragedia.

Dopo l’opposizione all’archiviazione da parte dei legali della coppia di genitori (avvocati Mauro Crociati e Alessandro Rinaldi) lo stesso procuratore Paolo Giovagnoli aveva richiesto l’esame suppletivo alla luce dei pareri discordanti dei consulenti.

Ci sarà la possibilità di chiarire, una volta per tutte, se la morte del bambino sia dipesa da una polmonite per infezione batterica, preesistente al travaglio, oppure per un’asfissia determinata dalle non corrette operazioni del parto e in particolare dai ritardi nella decisione di optare per un cesareo. Di conseguenza sarebbe possibile anche risalire (o escludere definitivamente) a eventuali profili di negligenza o imperizia a carico dei tre medici indagati con l’ipotesi di omicidio colposo (sono difesi dagli avvocati Francesca Bartolucci, Aidi Pini e Piero Venturi).

La direzione sanitaria

«Nel corso del travaglio di parto, risultato subito difficoltoso - spiegò subito dopo l’accaduto la direzione sanitaria - e dopo il successivo taglio cesareo effettuato in urgenza, si è immediatamente rilevato che le condizioni del neonato erano molto gravi, e nonostante gli sforzi rianimatori dell’equipe della Terapia intensiva neonatale, purtroppo l’esito è stato infausto». A fare sorgere dei dubbi nella madre su quanto era accaduto in sala parto fu una seconda analisi alla quale lei si sottopose in un laboratorio privato che non rilevò in lei il “ceppo” di polmonite che in teoria avrebbe trasmesso al piccolo.

Nell’atto di opposizione all’archiviazione che ha portato al supplemento d’inchiesta e alla perizia, i legali dei genitori, allegarono anche i nastri con le registrazioni di alcune conversazioni intercettate all’insaputa di alcuni sanitari che avevano espresso perplessità sull’operato professionale di alcuni colleghi, salva in ogni caso la loro buona fede. «Perché nella mia vita - si ascolta in uno dei nastri - ho trovato solo uno che per vedere la partita ha fatto morire due gemelli. E quello è da uccidere, non da arrestare: ma la maggior parte della gente è lì, sul pezzo, lavora, poi qualche volta non rende e non agisce con quella sequenza che sarebbe necessaria per arrivare a risolvere quel problema». Forse erano solo parole in libertà, ma se volevano essere rassicuranti, ottennero l’effetto contrario.

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